Rientrare a casa, dopo un viaggio in Cina, è come svegliarsi da un sogno vivido e stratificato. Le immagini restano impresse: i volti, le città, i silenzi pieni e i rumori ordinati. Ma ciò che risuona più profondamente è il confronto silenzioso tra due mondi, non tanto per ciò che si è visto, quanto per ciò che si può dire.
Seduto a casa, riaccendendo la connessione al mondo, scopro il valore di un gesto che spesso diamo per scontato: potersi informare liberamente, navigare tra giornali e social, valutare con prudenza e spirito critico le notizie, anche sapendo che non tutte sono imparziali, che dietro ogni testata può celarsi un interesse, un colore politico, un’ideologia. Ma la possibilità di sapere, di scegliere, di contestare, resta comunque nelle nostre mani.
Seppure l’Italia non brilla nella classifica tra i paesi con minore libertà di stampa, la Cina è classificata fra le ultime: la maggior parte dei media è controllata dallo Stato, con forti limiti alla diffusione di contenuti considerati sensibili, i social occidentali sono bloccati o fortemente rallentati, mentre quelli cinesi sono monitorati.
In Italia, pur tra le ombre della polarizzazione mediatica e delle proprietà editoriali influenzate da interessi economici o politici, resta il bene inestimabile della discussione pubblica. A patto che ci sia coscienza, studio, curiosità. Perché avere un’opinione non è un dovere, ma avere il cervello per averla è una conquista che si ottiene solo con lo studio, altrimenti si è liberi per finta.
Così si chiude il mio racconto, nato da due settimane di esplorazione, regalate con affetto dai miei docenti al momento del pensionamento. Un dono che si è trasformato in una rivelazione: la Cina è lontana geograficamente, ma è vicina nello spirito, antica nella visione, futurista nella corsa, contraddittoria nella struttura e profondamente coerente nel voler continuare a sorprendere. Cosa che ha fatto.
Mi ha convinto che la pace, la collaborazione, il superamento delle barriere, siano esse culturali o fisiche, non sono utopie, ma necessità. Che solo un mondo aperto e in ascolto può affrontare le sfide della nostra fragile sopravvivenza.
Ringrazio dal cuore Yifei Wang, giovane studentessa intelligente e brillante, che ha avuto la delicatezza di confermarmi che ciò che ho scritto non è corbelleria, ma il riflesso di un’esperienza vera, vissuta, pensata, restituita con onestà.
Il viaggio non finisce con l’ultimo giorno. Finisce quando il pensiero smette di viaggiare. E io non ho nessuna intenzione di fermarlo.
Grazie a chi ha letto ed ha idealmente camminato accanto a me.
Grazie e arrivederci.
Riccardo Agresti
La puntata precedente: 12 Dov’è il comunismo?


