Le Olimpiadi
I primi Giochi Olimpici risultano esserci stati nel 776 a.C., ad Olimpia, cuore sacro della Grecia e dimora degli dèi. All’inizio erano una semplice celebrazione locale, limitata a una sola gara di corsa, lo “stadion” (una lunghezza da 600 piedi, misura tradizionalmente fissata dalla mano possente di Eracle e pari probabilmente a 192,27m), ma presto il rito si ampliò: alla velocità si unirono la forza e il coraggio e alle gare si aggiunsero il pugilato, la lotta, il pentathlon e persino le fragorose corse con i carri, trasformando la manifestazione in un palcoscenico di virtù eroiche e gloria immortale. I vincitori non ricevevano in premio né oro né ricchezze, ma una corona d’alloro che simboleggiava onore e gloria, ma il prestigio che derivava dalla vittoria era immenso: il nome dell’atleta si scolpiva nella memoria dei popoli, e la sua fama si diffondeva come eco divina.
Col tempo, però, il destino mutò. Con il crescere del dominio romano, la fiamma olimpica si affievolì: corruzione e disordini minarono la purezza delle competizioni e il mito sembrò destinato a spegnersi. Infine l’imperatore Teodosio I, nel 393, decretò l’abolizione di tutte le pratiche pagane e con esse terminarono i Giochi: il silenzio calò su Olimpia, e la sua arena rimase muta.
Ma il sogno non morì. Fu solo secoli più tardi che il pedagogista francese Pierre de Coubertin osò ridare vita all’antico sogno ideale, nella convinzione che lo sport potesse promuovere la pace e l’amicizia fra le nazioni. A lui si devono il motto latino “Citius, altius, fortius” (“più veloce, più alto, più forte”) e la bandiera con i cinque cerchi emblema dei cinque continenti, intrecciati nei colori delle bandiere del mondo.
Nel 1894, al termine di un congresso internazionale alla Sorbona di Parigi, si decretò che i Giochi sarebbero rinati ad Atene, nel 1896. Quella prima edizione dell’era moderna fu un trionfo, la più grande celebrazione sportiva mai organizzata fino ad allora.
Eppure, le successive prove di Parigi 1900 e Saint Louis 1904 caddero nell’ombra, incapaci di reggere il peso del mito. Solo a Londra 1908 le Olimpiadi ritrovarono la loro dignità e il loro splendore, segnando l’inizio autentico di una nuova epopea destinata a unire i popoli sotto il segno della competizione e della fratellanza, come un fuoco eterno che ancora oggi arde nei cuori di chi non vede frontiere, ma solo eccellenza.
La Fiamma Olimpica
Nata dai raggi del sole che accarezzano l’antica Olimpia, la fiamma ardeva per gli dèi, custode di purezza e armonia. Essa richiama il mito di Prometeo, che osò rubare il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini: simbolo di vita, razionalità e libertà, luce che sfida l’oscurità.
Nell’Antica Grecia, durante i Giochi celebrati a Olimpia, un fuoco sacro ardeva senza interruzione sull’altare del Prytaneion, acceso in onore di Estia, dea del focolare, e venerato insieme a Zeus, Hera e Apollo, divinità della luce e della vita. Era rito e simbolo, armonia tra uomini e natura, e la sua accensione sanciva l’inizio delle gare.
Per secoli la fiamma rimase silente, finché gli uomini moderni non la ridestarono, riportandola al mondo come segno di continuità. Non accompagnò i primi Giochi moderni del 1896 ad Atene, ma tornò nel 1928 ad Amsterdam, come ponte con l’antichità.
Nel 1936 a Berlino nacque la tradizione della staffetta: il fuoco acceso a Olimpia iniziò a viaggiare, attraversando paesi e comunità, trasformandosi in un rito globale. L’idea fu di Carl Diem, segretario del comitato organizzatore, e il percorso toccò capitali europee fino a Berlino. In quell’occasione la propaganda nazista orchestrò con estrema cura ogni dettaglio scenografico, arrivando persino a cancellare dal film ufficiale il nome e le immagini del primo tedoforo della storia, l’atleta greco Konstantinos Kondylis. Nella celebre pellicola di Leni Riefenstahl, il suo ruolo fu attribuito al funzionario Jurgen Ascherfeld, ritratto come incarnazione dell’ideale ariano.
La fiamma per i Giochi Olimpici Invernali fu accesa per la prima volta a Oslo 1952, seguita da Cortina d’Ampezzo 1956 e da Squaw Valley 1960. Dal 1964 a Innsbruck, la tradizione volle che anche le fiamme invernali fossero accese nell’area archeologica di Olimpia, rito che prosegue ancora oggi.
Oggi la fiamma corre tra montagne e oceani, attraversa città e deserti, e ogni torcia che la custodisce diventa voce di pace, eco di un’antica promessa, messaggio non conosca confini: che i Giochi siano incontro, non guerra; che la luce unisca, non divida.
Il fuoco di Olimpia
La cerimonia che oggi accende la Fiamma Olimpica si veste di un’aura antica, ma in realtà è un rito moderno, nato meno di un secolo fa. Si svolge nel sito archeologico di Olimpia, davanti al tempio di Hera, là dove ebbero origine i Giochi sacri della Grecia.
Un’attrice greca, nelle vesti della Grande Sacerdotessa di Hera, guida il rito con gesti solenni e armoniosi. Invoca Apollo, dio della luce, e con la sua preghiera richiama la purezza del sole. La fiamma viene accesa grazie a uno specchio parabolico, che concentra i raggi solari in un unico punto (il fuoco della parabola) accentrando abbastanza energia per far incendiare la torcia. È un gesto che richiama la luce divina, simbolo di purezza e continuità.
Se il cielo è velato e non permette l’accensione diretta, come accaduto per la fiamma destinata a Milano-Cortina 2026, si ricorre a una fiamma di riserva, preparata e custodita in precedenza, per garantire la sacralità del rito.
La sacerdotessa consegna la torcia accesa al primo tedoforo, insieme a un ramo d’ulivo, emblema di pace e di speranza che richiama la Ἐκεχειρία (la pace olimpica). Da quel momento inizia il viaggio della fiamma: una staffetta che avanza alla velocità media di 4 km/h, percorrendo migliaia di chilometri, attraversando città e paesi, portando con sé valori di pace, amicizia e unità tra i popoli.
Migliaia di tedofori si alternano ogni centinaio di metri, custodendo il fuoco in lampade di sicurezza che ne preservano l’integrità. La staffetta culmina nello stadio olimpico, dove l’ultimo portatore accende il grande braciere: un gesto solenne che segna l’inizio ufficiale dei Giochi e trasforma la fiamma in un faro di fratellanza universale.
Il viaggio della torcia
La torcia è affidata a migliaia di tedofori (dal greco δᾳδοφόρος, “colui che porta la torcia”), che si danno il cambio ogni centinaio di metri.
La fiamma non si spegne mai fino alla chiusura dei Giochi: durante la staffetta è custodita in lampade di sicurezza, pronte a riaccenderla se il fuoco si spegne accidentalmente. Mai con un accendino o altro fuoco.
Nella storia delle Olimpiadi la torcia e la sua inseparabile fiamma hanno compiuto imprese incredibili. Ha solcato abissi e ghiacci, ha brillato sotto le onde, ha sfidato il gelo del Polo Nord e persino varcato i confini dello spazio. Immagini spettacolari che hanno trasformato la staffetta in un rito planetario, un pellegrinaggio di luce che parte da Olimpia e giunge fino alla città che accoglie i Giochi. Ha viaggiato su ogni mezzo: aerei, navi, treni, cavalli, cammelli, canoe amerindie, gondole veneziane, Ferrari rombanti e persino il supersonico Concorde. Ogni trasporto è diventato simbolo, ogni passo un frammento di mito.
Per i Giochi di Montréal 1976, la fiamma fu trasformata in un impulso elettronico: da Atene viaggiò via satellite fino al Canada, dove un raggio laser la riaccese, fondendo mito e tecnologia. Era il mito che incontrava la tecnologia.
Per arrivare ai Giochi di Atlanta 1996, la fiamma partì da Olimpia e attraversò l’oceano per giungere negli Stati Uniti e fu trasportata in battello, solcando il grande fiume Mississippi, arteria vitale della nazione, simbolo di incontro tra culture e popoli, viaggiò su un vagone della storica ferrovia transcontinentale Union Pacific Railroad, unendo simbolicamente le coste e i territori americani, ma nel tratto europeo, preludio poetico prima di giungere negli USA, fu portata su una gondola a Venezia, a cavallo a Stoccolma e su una canoa amerindia, evocando radici e tradizioni.
Per giungere a Sydeny 2000, presso la Grande Barriera Corallina, la torcia compì un viaggio sottomarino di 2 minuti e 40 secondi: un sistema speciale, bruciando a 2000°, le permise di restare accesa e visibile persino sott’acqua.
Prima di Torino 2006, la fiamma viaggiò per un tratto a bordo di una Ferrari, e a Stoccolma fu portata a cavallo; solcò il Mississippi su un battello e percorse la storica ferrovia Union Pacific, la prima transcontinentale.
Per raggiungere Pechino 2008, la fiamma raggiunse la vetta dell’Everest, il tetto del mondo. Portata dagli alpinisti, brillò tra le nevi eterne, come se volesse toccare il cielo.
Nel 2013, la fiamma fu chiamata a un destino più alto: varcare il cielo. Gli astronauti russi la portarono sulla Stazione Spaziale Internazionale. Per ragioni di sicurezza la torcia non ardeva, ma il suo simbolo brillava più forte che mai. In una passeggiata spaziale, la torcia fu mostrata al cosmo: la Terra azzurra alle spalle, l’infinito davanti. Sembrava che gli dèi antichi avessero restituito al fuoco olimpico la sua vera dimora: il sole, le stelle, l’universo. Quel gesto non fu soltanto spettacolo, ma un inno all’umanità intera: i Giochi non appartengono a una nazione, ma a tutti i popoli, e il loro simbolo può viaggiare persino oltre la nostra casa comune. Poi la torcia tornò sulla Terra, per accendere il braciere di Sochi 2014, portando con sé il ricordo di aver danzato tra le stelle. In quel tragitto la fiamma attraversò anche il Polo Nord e discese nelle profondità del Lago Baikal, il più profondo al mondo. Il fuoco che sfidava i ghiacci e le acque, custode di un mito senza confini.
Il design della torcia cambia ad ogni edizione, incarnando l’identità della città ospitante: linee, colori e materiali raccontano culture e storie diverse. Ma l’obiettivo rimane immutabile: mantenere la fiamma accesa, perché il fuoco simboleggia lo spirito collettivo e collaborativo dello sport.
La torcia olimpica non è soltanto un oggetto: è un racconto in movimento, un filo di luce che intreccia valori di pace e unità. Ogni edizione aggiunge un capitolo: un nuovo percorso, nuovi volti, nuove immagini che entrano nella memoria collettiva, come scintille di un mito che continua a vivere.
Gli imprevisti della fiamma
Ma lungo il suo viaggio, la torcia olimpica non ha conosciuto solo gloria: talvolta il destino ha intrecciato al mito episodi curiosi, ironici o persino paradossali, come se il fuoco sacro volesse ricordare agli uomini la sua fragilità e la sua forza.
Melbourne 1956: uno studente burlone comparve con una torcia falsa, costruita con mutande bruciate. La folla applaudì, ignara della beffa, come se persino l’ironia potesse essere accolta dal mito. Sempre in questa edizione il carburante scelto per la torcia finale rese la fiamma spettacolare, ma tanto intensa da ferire il portatore.
Città del Messico 1968: le torce a combustibile solido bruciarono alcuni tedofori, segno che la ricerca della luce perfetta poteva trasformarsi in rischio.
Monaco 1972: da questa edizione la maggior parte delle torce adottò un gas liquefatto, più controllabile e sicuro.
Montréal 1976: la pioggia spense la fiamma, ma non fu un accendino a ridarle vita. La lampada sacra la riaccese, restituendole il respiro. In quello stesso anno, un funzionario tentò di riaccenderla con un accendino: gli organizzatori la spensero e la riaccesero con la fiamma originale di riserva, riaffermando la purezza del rito.
Atene 2004: più volte la fiamma si spense durante la staffetta. Ogni riaccensione divenne rito di resilienza, prova che il fuoco può cadere e rialzarsi, come gli uomini che lo custodiscono.
Torino 2006: il passaggio della fiaccola è di solito festa e applausi, ma non mancarono tensioni. A Trento, la campionessa italiana dei 1500 metri Eleonora Berlanda si vide strappare la torcia da quattro anarchici armati di striscioni e megafoni. La fuga degli “scippatori”, anche grazie alla pronta reazione dell’atleta, durò però pochi metri: il fuoco tornò subito al suo cammino.
Sochi 2014: un portatore vide i propri vestiti incendiarsi. Nessun danno grave, ma l’immagine rimase come paradosso vivente: il fuoco che protegge e insieme divora.
Questi episodi non hanno mai incrinato il mito. Al contrario, hanno reso la torcia più umana, più vicina a noi: capace di ridere, inciampare, persino bruciare… eppure mai di perdere il suo splendore. Ogni imprevisto diventa parte della leggenda, dimostrando che la fiamma olimpica non è solo simbolo di perfezione, ma anche di resilienza, ironia e vita.
Il rito dell’ultimo metro
Fino all’ultimo metro la fiamma avanza, portata come un destino che non può essere fermato. L’attimo supremo appartiene all’ultimo tedoforo: non un semplice atleta, ma un prescelto, figura simbolica chiamata a incarnare i valori eterni: pace, coraggio, memoria, riconciliazione.
In quell’istante, la corsa si trasfigura in mito. Il gesto finale non è più solo movimento, ma epifania: la fiamma che tocca il braciere diventa immagine scolpita nel tempo, luce che non si spegne, promessa che non si infrange.
Così, a ogni Olimpiade, il rito si rinnova. La fiamma si fa voce universale, annuncio di continuità e speranza, ponte tra gli dèi antichi e l’umanità di oggi. È il fuoco che unisce i popoli, che attraversa le epoche, che proclama al mondo intero:
I Giochi sono incontro, non guerra. Sono luce che arde per tutti.
Ultimi tedofori delle Olimpiadi estive
| Anno | Città | Ultimo tedoforo | Significato simbolico |
| 1960 | Roma | Giancarlo Peris | Giovane studente, volto della nuova Italia |
| 1964 | Tokyo | Yoshinori Sakai | Nato a Hiroshima il giorno della bomba atomica, simbolo di pace |
| 1968 | Città del Messico | Enriqueta Basilio | Prima donna a portare la fiamma |
| 1972 | Monaco | Günther Zahn | Giovane atleta tedesco |
| 1976 | Montréal | Stéphane Préfontaine e Sandra Henderson | Due studenti canadesi, simbolo di gioventù |
| 1980 | Mosca | Sergey Belov | Cestista sovietico |
| 1984 | Los Angeles | Rafer Johnson | Decatleta e oro olimpico |
| 1988 | Seoul | Sohn Kee-chung | Maratoneta coreano vincitore a Berlino 1936 |
| 1992 | Barcellona | Antonio Rebollo | Arciere paralimpico che accese il braciere con una freccia |
| 1996 | Atlanta | Muhammad Ali | Pugile leggendario, simbolo di coraggio e dignità |
| 2000 | Sydney | Cathy Freeman | Atleta aborigena, simbolo di riconciliazione |
| 2004 | Atene | Nikolaos Kaklamanakis | Velista greco, oro olimpico |
| 2008 | Pechino | Li Ning | Ginnasta, spettacolare accensione sospeso in aria |
| 2012 | Londra | Sette giovani atleti | Il futuro dello sport |
| 2016 | Rio de Janeiro | Vanderlei de Lima | Maratoneta brasiliano, simbolo di resilienza |
| 2020 | Tokyo (2021) | Naomi Osaka | Tennista, volto della nuova generazione |
| 2024 | Parigi | Marie-José Pérec e Teddy Riner | Leggende francesi dell’atletica e del judo |
Ultimi tedofori delle Olimpiadi invernali
| Anno | Città | Ultimo tedoforo | Significato simbolico |
| 1952 | Oslo (Norvegia) | Egil Nansen | Nipote dell’esploratore Fridtjof Nansen, simbolo di eredità nazionale |
| 1956 | Cortina d’Ampezzo (Italia) | Guido Caroli | Pattinatore di velocità, celebre per la caduta durante l’accensione |
| 1960 | Squaw Valley (USA) | Kenneth Charles Henry | Pattinatore olimpico, oro nel 1948 |
| 1964 | Innsbruck (Austria) | Joseph Rieder | Sciatore alpino |
| 1968 | Grenoble (Francia) | Alain Calmat | Pattinatore artistico, oro mondiale |
| 1972 | Sapporo (Giappone) | Hideki Takada | Studente, simbolo della gioventù |
| 1976 | Innsbruck (Austria) | Christl Haas | Sciatrice alpina, oro olimpico |
| 1980 | Lake Placid (USA) | Charles Kerr | Studente, simbolo della nuova generazione |
| 1984 | Sarajevo (Jugoslavia) | Sandra Dubravčić | Pattinatrice artistica |
| 1988 | Calgary (Canada) | Robyn Perry | Studentessa di 12 anni, simbolo di futuro |
| 1992 | Albertville (Francia) | Michel Platini | Calciatore leggendario, ponte tra sport diversi |
| 1994 | Lillehammer (Norvegia) | Crown Prince Haakon | Simbolo di continuità e tradizione nazionale |
| 1998 | Nagano (Giappone) | Midori Ito | Pattinatrice artistica, prima donna asiatica oro mondiale |
| 2002 | Salt Lake City (USA) | Gruppo di atleti olimpici americani | Simbolo di pluralità e memoria |
| 2006 | Torino (Italia) | Stefania Belmondo | Fondista, oro olimpico |
| 2010 | Vancouver (Canada) | Wayne Gretzky | Leggenda dell’hockey |
| 2014 | Sochi (Russia) | Irina Rodnina e Vladislav Tretiak | Pattinatrice e hockeista, icone sovietiche |
| 2018 | Pyeongchang (Corea del Sud) | Kim Yu-na | Pattinatrice artistica, oro olimpico |
| 2022 | Pechino (Cina) | Dinigeer Yilamujiang e Zhao Jiawen | Giovani sciatori, simbolo di futuro e inclusione |
Riccardo Agresti


