5 Dicembre, 2025
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COP30: Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite

COP30: 30° Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Si è svolta dal 10 al 21 novembre a Belem in Brasile, alla Foce del Rio delle Amazzoni.

    1. Conclusioni della COP30
    2. Il bicchiere, per alcuni, non è completamente vuoto
    3. COP30: Ecocidio e genocidio sono parti della stessa crisi

 

1.  Conclusioni della COP30

E’ stato un ennesimo fallimento per chi si aspettava passi avanti verso l’adozione di decisioni concrete; un parziale debole successo – il massimo ottenibile – per chi, invece, ritiene importante non aver fatto passi indietro rispetto a quanto deciso alle precedenti COP 28 di Dubai e COP 29 di Baku su obiettivo climatico e adattamento: insomma, non hanno preso il sopravvento i negazionisti del clima e i Paesi che puntano ancora sull’insostenibile sviluppo economico basato su fossili e sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, ma continuano a bloccare le indispensabili politiche per il contenimento delle emissioni di CO2, rinviate continuamente al futuro. E intanto la crisi climatica, e sociale, avanza, con perdite di foreste e terreni coltivabili, desertificazione e crescente carenza di acqua potabile, eventi estremi, e guerre!

Ci si aspettava un passo importante verso il superamento, seppure graduale, dell’era dei fossili, ma la proposta del presidente brasiliano Lula, sostenuta da una ottantina di stati, in primis Europa, Australia, America Latina e piccole isole, è stata affossata dalla lobby dei fossili: Arabia Saudita e tutti i paesi arabi, Russia, India e gran parte degli Stati africani.

Il documento principale della conferenza, il Global Mutirão, neanche nomina i combustibili fossili, e rimanda tutto a futuri approfondimenti, individuando – ai punti 41 e 42 – due strumenti, il “Global implementation accelerator” e la “Belém mission to 1.5°”: il primo prevede la redazione, entro la fine del 2026, di un rapporto da parte dalle presidenze di COP30 e COP31 (Turchia); il secondo ha un obiettivo analogo, e sarà guidato dalle presidenze di COP 29, 30 e 31, e opererà per i prossimi tre anni.

Petrolio e gas continuano a indirizzare le decisioni, e se si registra un aumento del ricorso alle fonti rinnovabili, a questo non corrisponde una diminuzione dell’uso dei fossili.

In Italia, ad esempio, un rapporto ENEA evidenzia che nel terzo trimestre del 2024 la produzione energetica da fonti rinnovabili è cresciuta dell’8% e, accanto a un calo del carbone (-40%), si registra un incremento nell’utilizzo di gas (+3%) per la generazione elettrica e di petrolio (+2,5%) nel settore della mobilità.

Il Global Mutirão è stato approvato dall’intera comunità internazionale per consensus, una sorta di unanimità che prevede che nessuno si opponga al documento finale prima che il presidente batta il martelletto, operazione condotta a grande velocità pere impedire, a detta di alcuni, la formalizzazione del dissenso; è considerato debolissimo da molti paesi e organizzazioni, ed è stato platealmente contestato da alcuni paesi.

La ministra francese della Transizione ecologica Monique Barbut ha affermato: “Non possiamo dire che sosteniamo questo testo perché non contiene il livello minimo di ambizione che ci attendavamo sull’abbandono dei combustibili fossili e sulla lotta contro la deforestazione, ma non ci opporremo perché non vogliamo far pagare il prezzo ai paesi più poveri”.

Persino il nostro Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin si aspettava di più: “Questo documento non è l’ambizione che si era data l’Unione europea che ha sempre funto da traino, ma il quadro politico a livello mondiale è cambiato molto e bisogna prenderne atto”.

E non mancano le contraddizioni; basta pensare al Brasile, che da un lato ha spinto affinchè si adottassero impegni più forti sui fossili, dall’altro ha intensificato le proprie attività petrolifere:  a inizio 2025 ha aderito all’Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio), e dopo anni di battaglia tra Petrobras, l’industria petrolifera statale brasiliana, e Ibama, l’organismo di controllo ambientale, il governo di Lula ha autorizzato il 20 ottobre 2025 l’esplorazione, ai fini di successive trivellazioni di 19 Blocchi alla Foce del Rio delle Amazzoni.

2.  Il bicchiere, per alcuni, non è completamente vuoto

Non tutti sono così critici, in particolare chi ricorda che questa COP aveva “soltanto” l’obiettivo di implementare alcune decisioni prese in precedenza; infatti viene confermata la volontà di triplicare i finanziamenti per l’adattamento da parte dei paesi del nord del mondo verso i paesi più soggetti alle conseguenze della crisi climatica, impegnando circa 120 miliardi (parte dei 300 miliardi previsti alla COP29 di Baku) per progetti di adattamento a un clima che è già cambiato).

Osserviamo che continuando di questo passo i fondi per l’adattamento dovranno aumentare esponenzialmente, preferendo intervenire per rimediare ai disastri piuttosto che prevenirli, impiegando tecnologie sempre più avanzate e contribuendo alla crescita del PIL: è una delle contraddizioni più profonde che caratterizzano questo modello di sviluppo malato, dominato sempre più da quella tecnocrazia tanto contestata nella splendida enciclica di Papa Francesco.

Il Climate action network (composto da organizzazioni non governative senza scopo di lucro che non rappresentano l’industria, hanno interesse nella promozione dello sviluppo sostenibile e sono interessate alle questioni relative ai cambiamenti climatici) titola: “COP30 takes a hopeful step towards justice, but does not go far enough – La COP30 compie un passo promettente verso la giustizia, ma non abbastanza”, sottolineando l’importanza del meccanismo per la transizione giusta, considerato “l’impianto più avanzato in termini di diritti che abbiamo mai visto in una decisione di una COP”.

Il think tank italiano Ecco sostiene che “la COP30 di Belém si chiude con un risultato che, pur non risolvendo tutte le divergenze, dimostra che la cooperazione multilaterale sul clima prosegue nonostante le tensioni geopolitiche. Sebbene la Mutirão Decision non citi esplicitamente i combustibili fossili e non accolga l’appello del Presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione, mantiene viva la traiettoria tracciata a Dubai su questo tema. L’avvio di nuovi processi per accelerare la transizione energetica, come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5, offrono strumenti concreti per permettere ai Paesi di collaborare, ciascuno con i propri percorsi, per avanzare nella definizione del “come” uscire dai combustibili fossili”.

Tutto vero, ma andando avanti a forza di piccoli passi compiuti in decenni di negoziati, le emissioni continuano a crescere e la temperatura pure, e con essa la crisi climatica esplode in maniera sempre più evidente. Siamo all’ecocidio, che ormai si chiede venga incluso nell’elenco dei crimini perseguibili dalla Corte Penale Internazionale.

3.  COP30: Ecocidio e genocidio sono parti della stessa crisi

Affrontare la giustizia climatica obbliga a discutere contemporaneamente anche di pace, la pace con la terra e con i popoli, perché se giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia, ecocidio e genocidio sono parti della stessa crisi.

Alla COP30 hanno partecipato vari personaggi in rappresentanza di movimenti e associazioni, laiche e cattoliche; fra questi Padre Dario Bossi, missionario comboniano e membro della Rete Chiese e Miniera, della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) per la Miniera e l’Ecologia Integrale, e consulente della Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (REPAM-Brasile), che si batte insieme a diversi membri della rete “Preti contro il genocidio” per i diritti vittime dell’ecocidio/genocidio, principalmente i poveri della terra.

La crisi socioambientale è figlia della degenerazione del sistema socio-economico consolidatosi  nel secolo scorso, basato sul ciclo distruttivo di “estrarre, consumare e scartare”, dove le persone sono fattori di produzione e anch’esse vengono consumate e poi scartate.

E padre Bossi ricorda che “c’è una stessa logica dietro la violenza ambientale e le guerre, provocata dal fatto che siamo giunti al limite della sopravvivenza del pianeta, dove si impone la logica del più forte, il diritto alla violenza, sia da parte delle multinazionali che violano i territori delle comunità, sia del conflitto armato che elimina i popoli”.

L’ecologia integrale, quindi, è una risposta completa, una profonda conversione del modello predatorio, e non semplici rattoppi palliativi. Una risposta che collega diverse sfide e opportunità, come affermano i vescovi delle chiese del sud globale: “Senza giustizia climatica non c’è pace, senza conversione ecologica non c’è futuro; senza ascoltare i popoli non ci sono soluzioni reali”.

Questo tema, che è un po’ la sintesi, l’inviluppo di tutte le questioni, rimane sullo sfondo anche alla COP30, evocato ma considerato oggetto di riflessioni culturali piuttosto che occasione di progresso, men che meno campo di battaglia politica.

Giuseppe Girardi

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