5 Dicembre, 2025
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A cosa serve la fisica?

 

ΦΎΣΙΣ

La fisica è una disciplina il cui nome deriva dal greco φύσις (natura) ed ha l’obiettivo di capire come si comporta la realtà che ci circonda in modo oggettivo, affidabile, verificabile e condivisibile.

 

Oggettivo vuol dire che la fisica cerca di descrivere la realtà senza farsi influenzare dalle opinioni personali, politiche o da punti di vista soggettivi. È come dire: “Se faccio cadere una mela, cade per tutti nello stesso modo, indipendentemente da chi la guarda.”

Affidabile significa che i risultati e le spiegazioni della fisica funzionano sempre nello stesso modo e possono essere ripetuti. Se un esperimento viene fatto oggi o domani, da me o da te, deve dare lo stesso risultato.

Verificabile significa che ciò che la fisica afferma può essere controllato con esperimenti o osservazioni. Non basta dire “la mela cade”: bisogna poterlo dimostrare e chiunque deve poter ripetere l’esperimento per vedere se funziona davvero.

Condivisibile vuol dire che i risultati e le spiegazioni possono essere comunicati agli altri in modo chiaro, così che tutti possano capirli e usarli. Non è una conoscenza “privata” o basata su opinioni personali, ma qualcosa che può essere spiegato e accettato da una comunità di persone.

 

La fisica studia il “come” funziona la realtà e questo ci permette di avvicinarci al capire il “perché”.

Per comprendersi vediamo la seguente sequenza di domande e risposte:

D: “perché se lascio una mela a mezz’aria non resta ferma?”

R: “perché cade al suolo.”

D: “perché cade al suolo?”

R: “perché la Terra la tira a sé.”

D: “perché la Terra la tira a sé?”

R: “perché tutti i corpi si attraggono.”

D: “perché tutti i corpi si attraggono?”

R: “la fisica descrive come funziona la gravità, ma non è in grado di spiegare il motivo ultimo della sua esistenza.”

In poche parole, la fisica ci fa capire come avvengono le cose e perché succedono in quel modo, ma non ci spiega il motivo ultimo del perché esistano.”

 

 

AGGETTIVI

Per raggiungere questo obiettivo si studiano gli eventi descrivendoli quantitativamente, utilizzando il metodo sperimentale.

 

In fisica non ha senso usare aggettivi qualificativi, tipo bello o brutto, piacevole o spiacevole, poco o tanto. Le parole devono essere precise e condivise da tutti: ogni termine va definito in modo chiaro, così che il suo significato resti identico per chiunque, indipendentemente da differenze personali come sesso, nazionalità, altezza eccetera.

 

Capita spesso di sentire frasi che utilizzano termini non definiti o in modo improprio.

Ad esempio molti affermano che hanno incontrato una persona con un’energia positiva oppure un’energia negativa. Ma cosa sia questa “energia” nessuno sa definirlo.

Nell’esempio citato, il termine “energia” vuole descrivere qualitativamente sensazioni soggettive come allegria o tristezza, simpatia o antipatia. In fisica, invece, il termine “energia” ha un significato specifico e ben preciso: indica la capacità di un sistema di compiere lavoro. In pratica si usa impropriamente un termine della fisica, usando un termine che ha un significato ben definito, per indicare invece impressioni personali non oggettive né verificabili.

 

Per capire perché gli aggettivi qualitativi sono poco utili in fisica, pensiamo al “paradosso del ricco e del povero”. Quando, esattamente, si può dire che una persona è ricca o povera? Se parto da 0 euro e ne aggiungo uno, resto povero. Se ne aggiungo un altro, sono ancora povero. Ma dopo quante aggiunte saremo tutti oggettivamente d’accordo nel definirmi ricco? Allo stesso modo, se possiedo un miliardo di euro e ne tolgo uno, resto ricco. Se ne tolgo un altro, sono ancora ricco. Ma dopo quanti euro tolti sarò considerato da tutti come povero?

In realtà non esiste un confine netto: non c’è una cifra precisa che separi in modo assoluto il “ricco” dal “povero”. Ecco perché gli aggettivi qualitativi, basati su giudizi soggettivi, non funzionano: la scienza ha bisogno di misure chiare e condivise da tutti.

 

Ecco cosa scrisse Galileo Galilei per spiegare che, per comprendere la Natura, occorre un linguaggio preciso, comprensibile da tutti e senza ambiguità. Nel suo testo Il Saggiatore del 1623 la chiama ancora ‘filosofia’, ma proprio grazie al suo metodo di indagine questa disciplina si distinguerà in seguito come fisica.

«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.»

 

 

METODO

Il metodo sperimentale consiste nell’osservare o riprodurre fenomeni in condizioni controllate, raccogliendo dati e misure che permettono di verificare o confutare ipotesi sul loro funzionamento.

 

Il metodo scientifico, che include il metodo sperimentale, inizia con l’osservazione di un fenomeno. Da questa osservazione si formula un’ipotesi che lo interpreta. L’ipotesi viene poi verificata attraverso esperimenti, cioè ripetendo le condizioni iniziali e controllando che i risultati siano coerenti, tenendo conto di tutti i possibili fattori che possono influenzare la prova.

Ad esempio, la caduta di un martello e di una piuma mostra come i risultati dipendano dai fattori che influenzano l’esperimento: sulla Terra l’aria rallenta la piuma, mentre nel vuoto cadono con la stessa accelerazione, per avere un’idea è sufficiente guardare questo video:

https://www.bing.com/videos/riverview/relatedvideo?&q=martello+e+piuma+sulla+luna&&mid=01E07D166FD3BB9D01BD01E07D166FD3BB9D01BD&&FORM=VRDGAR

 

Il metodo scientifico, sviluppato da Galileo Galilei, si discosta in maniera rivoluzionaria dal metodo aristotelico. Quest’ultimo, basato sugli studi di Aristotele, spiegava la realtà facendo riferimento ai suoi scritti secondo il principio di autorità, l’‘ipse dixit’. Aristotele, pur essendo un grande pensatore, disponeva di strumenti di osservazione e misura molto limitati. Galileo, invece, grazie alle sue ricerche e al suo metodo, mise in discussione il principio di autorità, mostrando che la realtà non va accettata sulla parola dei filosofi, ma verificata attraverso l’osservazione diretta e la sperimentazione. Così la prova oggettiva sostituì l’affermazione autoritaria.

 

 

GRANDEZZE

La fisica descrive e interpreta la realtà naturale attraverso l’osservazione e la misurazione delle grandezze fisiche.

 

Le “grandezze fisiche” sono tutte quelle proprietà, definite in modo preciso e inequivocabile, che possiamo misurare seguendo regole condivise. Per ciascuna grandezza fisica è definito un metodo di misura e un’unità di riferimento condivisa.

La lunghezza è una delle prime grandezze fisiche che impariamo a misurare. La sua misura consiste nel determinare quante volte un’unità di riferimento, scelta e fissata una volta per tutte, deve essere ripetuta per coprire la distanza che vogliamo conoscere.

 

La metrologia è la scienza della misurazione: definisce le grandezze fondamentali, i metodi di misura e le unità di riferimento. Il suo compito è cioè stabilire un sistema coerente di grandezze fondamentali, dalle quali si ricavano quelle derivate, definire i metodi corretti di misurazione e realizzare i campioni delle unità di misura adottate, così da avere valori standard di riferimento validi in ogni momento e in ogni luogo.

 

Il sistema di unità di misura universalmente accettato dai fisici è il Sistema Internazionale (SI) basato su sette grandezze fondamentali, dalle quali derivano tutte le altre, ovvero:

Il metro (m), per la lunghezza;

il secondo (s), per gli intervalli di tempo;

il chilogrammo (kg), per la massa;

l’ampere (A), per l’intensità di corrente elettrica;

il kelvin (K), per la temperatura;

la mole (mol), per la quantità di sostanza;

la candela (cd), per l’intensità luminosa.

 

Ad esempio, se prima era usato come unità di misura della lunghezza una barra di platino‑iridio conservata a Parigi, oggi si utilizza la seguente definizione: il metro è la lunghezza del percorso che la luce percorre nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 di secondo”.

Il motivo di questa scelta è che in questo modo la misura è più precisa, riproducibile e valida ovunque perché dipende da una costante universale, la velocità della luce nel vuoto.

 

Dalle grandezze fondamentali si ottengono altre grandezze fisiche, chiamate grandezze derivate.

Per esempio, combinando spazio e tempo si ricava la velocità: una grandezza derivata che indica quanta distanza viene percorsa in un certo intervallo di tempo. Si misura in metri al secondo e si calcola effettuando la divisione fra spazio percorso e tempo impiegato a percorrerlo.

 

Ogni misurazione fornisce una stima del valore della grandezza, affetta da incertezza, che può essere ridotta ma non eliminata. Queste incertezze, chiamate “errori” possono essere di due tipi:

errori sistematici, che si ripetono sempre nello stesso modo, dovuti ad esempio a una taratura sbagliata dello strumento o a un procedimento non corretto;

errori casuali, provocati da fattori esterni imprevedibili, come disturbi ambientali.

Una misurazione può essere ripetuta molte volte o eseguita con strumenti più precisi, ma un certo margine di errore sarà sempre presente. Questo margine può essere ridotto, ma non eliminato del tutto, perché esistono sempre fenomeni fisici che influenzano il risultato e che non possiamo controllare completamente. Per questo motivo, ogni misurazione non dà mai il valore corretto di una grandezza, ma solo una stima vicina al valore reale.

In meccanica quantistica esiste il principio di indeterminazione di Werner Karl Heisenberg, che stabilisce limiti fondamentali alla precisione con cui certe grandezze possono essere misurate contemporaneamente.

Per comprendere bene la differenza fra i due tipi di errore, si pensi ai colpi del tiro al bersaglio.

I colpi non cadono tutti nello stesso punto, ma formano una ‘nuvola’ di impatti. Se il centro di questa nuvola è spostato rispetto al centro del bersaglio, la distanza tra i due centri indica l’errore sistematico. Invece, le differenze tra i singoli colpi e il centro della nuvola rappresentano gli errori casuali.

 

La “precisione” è definita dal numero di cifre significative presenti nel numero.

Ad esempio, in matematica 4 x 103 e 4,0 x 103 indicano entrambi 4000, invece in fisica indicano valori diversi:

scrivere 4 x 103 indica un valore non noto che è compreso tra 3 000 e 5 000;

scrivere 4,0 x 103 invece indica un valore non noto, più preciso, che si trova tra 3 900 e 4 100.

Quindi, aggiungere una cifra significativa rende la misura più dettagliata e riduce l’incertezza.

 

Per leggere la seconda parte

 

Riccardo Agresti

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