13 Dicembre, 2025
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Se questo è un uomo?

Si riceve e si pubblica
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case…”
— Primo Levi
Cosa significa oggi essere uomini?
Ce lo domandava, con voce ferita e lucida, Primo Levi nel suo Se questo è un uomo, quando raccontava il campo di concentramento non solo come luogo di morte, ma come macchina sistematica di annientamento dell’identità umana. Oggi, a distanza di decenni, quella domanda non ha perso forza. Anzi, ritorna prepotente nel nostro presente ferito, in un mondo che sembra aver imparato poco o nulla da quell’abisso. Ci guardiamo intorno e vediamo una lunga scia di sangue e distruzione.
Dall’Ucraina a Gaza, dalle guerre mai chiuse in Africa alla repressione silenziosa in Asia, ciò che colpisce non è solo la violenza, ma l’indifferenza crescente con cui la osserviamo. Bambini uccisi, civili annientati, popoli cancellati, diritti calpestati — eppure tutto scorre, come se fosse normale. Come se fosse inevitabile.
Quando è che abbiamo smesso di indignarci?
La vera tragedia non è solo ciò che accade, ma il fatto che accada sotto gli occhi del mondo. Un mondo connesso, informato, ipertecnologico, eppure spesso muto e paralizzato. Questo ci costringe a una domanda ancora più scomoda: cosa ci ha portati a questo punto?
È solo colpa dei potenti, dei regimi, delle multinazionali? O c’è qualcosa di più profondo, più oscuro, che riguarda anche noi?
Forse, come società, abbiamo lentamente accettato una disumanizzazione strisciante, non più urlata come nei lager di Auschwitz, ma sussurrata nelle scelte quotidiane, nelle priorità politiche, nei mercati finanziari, nei discorsi pubblici.
Abbiamo trasformato la “res publica” in un’arena di interessi privati, perdendo il senso della res communis, quei beni — acqua, terra, educazione, salute, giustizia — che appartengono a tutti e che dovrebbero essere inalienabili.
Abbiamo elevato l’individualismo esasperato a modello sociale, scollegando il benessere del singolo da quello collettivo.
Abbiamo ridotto la politica a gestione del potere, svuotando la parola “democrazia” del suo significato più profondo: partecipazione, rappresentanza, solidarietà.
E allora ci si deve fermare.
Non per retorica, ma per necessità.
Se questo è l’uomo che siamo diventati, allora occorre avere il coraggio di guardare in faccia la nostra deriva.
Perché anche oggi, come ammoniva Levi, «meditare che questo è stato» non basta: dobbiamo meditare che questo sta accadendo adesso, e che potremmo esserne complici — o almeno spettatori.
Come se ne esce? Chi può salvarci?
Forse la risposta non è unica, ma può nascere solo da un’alleanza tra pensiero, arte, cultura, politica e spiritualità
L’arte può ancora farci vedere ciò che rimuoviamo, e un questa riflessione chiamo in causa l’ impegno della nostra associazione così come di tante altre associazioni che sul territorio del lago, tanto fanno per promuovere iniziative a carattere artistico/culturale e di diritti.
La cultura può insegnarci a riconoscere la complessità, a pensare criticamente.
La politica, se tornerà a essere servizio e non calcolo, può ricostruire il tessuto lacerato delle comunità, e questo chiama in causa il senso civico e di appetenza da parte dei cittadini e delle amministrazioni comunali e politiche.
L’economia, se liberata dalla logica predatoria, può diventare strumento di equità.
E forse anche una nuova spiritualità laica, fondata sul rispetto del vivente, può aiutarci a ritrovare il senso del limite, della cura, della responsabilità.
Questa pensiero nasce da qui.
Dalla volontà di non accettare l’ingiustizia come dato di fatto, di porci domande radicali sul nostro tempo e sul nostro ruolo.
Useremo la memoria come chiave di lettura del presente, senza retorica, ma con rigore e passione.
Perché solo partendo dalle domande scomode possiamo forse tornare a costruire un’umanità più degna di questo nome.
Come scriveva Levi, «meditate che questo è stato».
Noi oggi diciamo: meditate che questo sta accadendo.
E domandiamoci insieme: che uomini vogliamo essere? Consci che il treno della storia passa veloce e noi potremmo ritrovarci ad essere polvere sotto le sue ruote.
Gianluigi De Benedittis
Presidente Ass. Culturale Humanae Vitae

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