<<Un matematico, un fisico e un astronomo sono in treno. A un certo punto vedono di profilo una pecora nera in un campo. L’astronomo esclama: “Ragazzi, qui tutte le pecore sono nere!”. Il fisico scuote la testa e afferma: “È più giusto dire che esiste almeno una pecora nera!”. Il matematico sconsolato li corregge: “Al massimo si può affermare che esiste almeno un campo, con almeno una pecora, con almeno un lato nero!”.>>
Quella facezia, che fa sorridere nei corridoi delle facoltà scientifiche, indica come leggere il mio racconto. Il viaggio che ho intrapreso, pur affascinante e denso di scoperte, era strutturato, guidato e organizzato da chi voleva mostrarci una versione selezionata della realtà. La Cina ha recentemente aperto le porte a molti cittadini europei, eliminando il visto per soggiorni brevi. Un gesto di apertura per rilanciare il turismo post-pandemia, che ha reso possibile la mia esperienza, ma anche, forse, ne ha condizionato i contenuti.
Nel corso dei giorni, ho capito che ciò che stavo vivendo era reale, sì, ma parziale. Le guide parlavano fluentemente italiano, alcune con un livello sorprendentemente alto, eppure certi temi sembravano evaporare nella conversazione. Quando il discorso si avvicinava alla politica, lo si schivava con eleganza. Xi Jinping, presidente in carica “sine die” e segretario generale del Partito Comunista Cinese, veniva nominato con reverenza: “il nostro grande Xi Jinping”. Un tono che suggeriva una narrazione ufficiale, curata, forse persino filtrata.
Le domande più sottili, su temi storici, come gli eventi del 1989 in piazza Tienanmen, venivano liquidate con frasi neutre, quasi scolpite nel marmo del “non detto”: “avvenimenti che voi conoscete”. Un modo gentile per distanziarsi, per mantenere il silenzio su argomenti che, evidentemente, non trovano spazio nel racconto turistico.
Non mi è stato possibile approfondire tutto ciò che avrei voluto. La lingua, pur avvicinata da ottimi interpreti, rimaneva uno scoglio: non tanto nel significato delle parole, quanto nella complessità del linguaggio non verbale. In una cultura dove il gesto, il tono, il silenzio hanno significati profondi, il rischio di fraintendere è sempre dietro l’angolo.
Così come il matematico, anch’io ho compreso che si può parlare al massimo di ciò che si è visto: un campo, una pecora, un lato nero. Questa è la Cina che ho incontrato, autentica nel vissuto, ma inevitabilmente parziale. Per questo motivo invito chi legge a considerare questi racconti, come uno sguardo, uno dei tanti, sul mosaico sconfinato di un Paese che resta, comunque lo si osservi, uno dei più enigmatici e affascinanti al mondo.
Riccardo Agresti
La puntata precedente: 1 Nessuno è straniero (il mio viaggio in Cina)
Il prossimo appuntamento: 3 Connessioni lente e sorveglianza rapida


