6 Maggio, 2024
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Insegnamento e apprendimento sono due realtà distinte

L’insegnamento non produce automaticamente apprendimento

La relazione insegnamento-apprendimento non è semplice, il metodo d’insegnamento deve sempre tener conto che ogni allievo apprende attraverso il filtro delle proprie emozioni e della propria storia personale. Per essere un insegnante efficace non è sufficiente conoscere i contenuti della disciplina d’insegnamento, occorre anche aver sviluppato la capacità di gestire le proprie emozioni in maniera costruttiva, perché i sentimenti che un insegnante suscita negli alunni possono influenzare il modo in cui essi si comportano in classe. Sorridere, evitare il sarcasmo e usare parole cortesi, sono comportamenti tipici di un insegnante efficace.

Dagli studi finalizzati alla ricerca sull’insegnamento emerge la figura dell’insegnante ideale: egli è accogliente, disponibile, incoraggiante, sa variare le proposte, conosce bene la disciplina che insegna, prepara accuratamente le lezioni e ne comunica con chiarezza i contenuti.

Ha fiducia nelle capacità di apprendimento degli alunni ai quali chiarisce gli obiettivi da raggiungere; mantiene la disciplina in classe, ascolta e utilizza le idee degli allievi, ne verifica il lavoro e adatta l’organizzazione dell’insegnamento ai loro bisogni; mantiene strette relazioni collegiali e condivide gli obiettivi educativi con i colleghi; fa buon uso del tempo e sa riorganizzare le lezioni in caso di difficoltà.

Se l’insegnante deve rispondere alle esigenze educative di ogni singolo alunno e progettare “piani di studi personalizzati”, non può assolutamente ignorare i risultati della ricerca sugli aspetti che influenzano l’apprendimento. A livello metodologico-didattico, è indispensabile che ogni docente sappia utilizzare anche il proprio corpo nella gestione della classe: le espressioni del viso (per bloccare sul nascere un comportamento negativo o per elogiare), il contatto oculare (per comunicare con gli occhi la correttezza o l’inadeguatezza dei comportamenti), la postura nello stare in piedi e/o camminare (utile per rilevare le difficoltà di esecuzione dei compiti, per  prestare aiuto ma anche per governare la situazione sul piano comportamentale), sono tutti linguaggi non verbali, che consentono al docente di prevenire e risolvere problemi prima che diano vita a una “classe difficile”.

Anche il tono della voce del docente ha un’importanza rilevante: fermo ma deciso in caso di rimprovero, sicuro nel comunicare le aspettative e i desideri, forte e chiaro per arrivare a tutti e sollecitare l’attenzione. Da quanto scritto emerge che: l’insegnamento, non potrà mai essere un lavoro di ripiego; l’aggiornamento del docente non è solo un dovere ma un’esigenza, un diritto, un’opportunità di cui avvalersi per accrescere continuamente la professionalità e mantenere sempre ricca di strumenti operativi la nostra “cassetta degli attrezzi”.

In fatto di educazione molto ha già detto Quintilano[1] , oratore romano e maestro di retorica, quasi duemila anni fa: l’educazione comincia dai genitori; nella vera scuola formativa l’insegnante è leale, giusto e imparziale, coerente; “sia austero ma non arcigno, cordiale ma non in misura esagerata“[2], “non si faccia odiare per la rigidezza e disprezzare per la mancanza di energia”; “sia pochissimo irascibile, ma non chiuda gli occhi di fronte ai difetti da correggere”, “nel correggere gli errori non sia aspro”, “il suo insegnamento sia chiaro e semplice”, “a chi fa domande risponda di buon grado, a chi non gliele fa sia lui a farle”, “nel valutare le esercitazioni degli alunni non esageri, perché un giudizio troppo severo suscita il tedio dello studio, uno troppo largo provoca faciloneria e trascuratezza…”

(Contenuti tratti dal saggio “Bambini e adolescenti. Disagi  e rischi” di Anna Maria Onelli, Rubbettino Editore, 2016)

Anna Maria Onelli

 

 

 

 

[1] Marcus Fabius Quintilianus (Spagna Tarraconensis (35 – 96 d.C.). Il Buon Maestro, (Institutio Oratoriae II, 2, 4-13), un’opera in 12 libri che si può considerare uno dei primi libri di pedagogia, perché esamina le finalità, i contenuti e i metodi dell’istruzione.

[2] Giovanni Reale/Dario Antiseri/Mauro Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi 1, (pag.255), Editrice La scuola, 1985, pp.459

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