27 Aprile, 2024
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E quell’ipotesi di un esercito europeo…

Dalla caduta del muro di Berlino e dallo sciogliemmo dell’Unione Sovietica le tensioni geopolitiche internazionali non sono di certo scomparse.

Solo 10 anni più tardi dall’ultima ammainabandiera rossa sul tetto del Cremlino, l’11 settembre 2001 gli Stati Uniti, e dunque il mondo occidentale, sono stati messi sotto attacco dall’attentato alle torri gemelle.

Si susseguirono anche le vicende delle due guerre del Golfo, della Guerra in Afghanistan e della guerra nell’ex Jugoslavia.

Nel mentre ad oriente, la Russia portò avanti i conflitti contri i Ceceni.

Negli anni più recenti la dipartita dell’esercito americano dall’Afghanistan ha causato nuove tensioni assieme alla creazione di alleanze strategiche di carattere militare in Oriente.

Oggi la guerra è tornata nel cuore dell’Europa, ai confini dell’Unione Europea.

Con l’attuale conflitto russo-ucraino, almeno per qualche giorno, in molti hanno parlato della necessità di mettere in piedi un esercito europeo o di rinnovare contingenti militari speciali (ricordiamo i famosi progetti di Blair e di Sarkozy che prendevano inizialmente sessantamila combattenti, per poi passare a 6000 e poi a 5000)

La discussione si è poi allargata sulla questione della sicurezza europea affrontando un tema molto delicato che è quello della indipendenza strategica europea.

 

Quello che più colpisce di queste discussioni è l’incompetenza che le ha caratterizzate, la debolezza degli argomenti ed infine le incertezze conclusive di carattere politico.

 

È bene ricordare che l’UE riunisce 27 stati con ben 500 milioni di abitanti, è un attore globale da un punto di vista economico ma da un punto di vista politico-strategico non riesce ancora a trovare una sua precisa autonomia e spazio.

L’UE è stata in grado di elaborare dagli anni 2000 in avanti una serie di documenti nei quali ha fotografato le crisi più rilevanti, i pericoli maggiori, evidenziando delle emergenze mondiali: il terrorismo, la proliferazione delle armi di massa, conflitti regionali, la dissoluzione di stati vicini, il degrado ambientale ed infine l’emergenza della pandemia.

Ma a queste analisi non è seguita una strategia operativa adeguata, in quanto è vero che mancano pericoli di invasioni armante ma lungo i confini dell’UE le crisi sono da sempre ben presenti senza necessariamente pensare all’attuale e gravissima guerra russo-ucraina.

 

L’evoluzione di una politica di sicurezza comune è stata lenta e confusa senza portare a risultati apprezzabili al di la di alcune sigle adottate o ad incarichi dati ad alti funzionari, ma ha messo in luce che i paesi più forti dell’UE non hanno incoraggiato questa evoluzione senza la creazione di strutture adeguate con capacità operative.

Giova poi ricordare che la sicurezza del nostro continente è stata garantita dagli USA con il patto atlantico, un patto di carattere politico-militare che ha garantito sicurezza e pace, ma anche a questo proposito occorre inserire un elemento di chiarificazione.

 

Chi ha pagato la maggior parte le spese della alleanza atlantica?

Sono sostenuto dal 80% dall’America e l’ombrello atomico statunitense è quello che ha garantito una certa stabilita e sicurezza del continente.

La domanda sorge spontanea e legittima: la costante protezione di Washington e la mancata coesione militare dei paesi europei potrebbe aver favorito la mancanza della, già accennata, indipendenza strategica europea?

La colpa di una mancanza di una propria autonomia non si può di certo dare esclusivamente all’alleato americano ma è di certo un elemento da considerare .

 

Aggiungiamo un ultimo elemento d’analisi.

Dobbiamo sottolineare che in ambito dell’industria militare i vari paesi dell’unione si muovono in maniera molto disarticola.

È essenziale darsi un fine comune, una bussola strategica, ovvero la convergenza su obiettivi -che possono essere continentali o extra-continentali- comuni ai 27 stati membri europei, che sappiamo essere venuta mano in questi anni.

 

L’esercito europeo è visto spesso come un modo per riacquisire la nostra sovranità continentale, il quale tema fu affrontato più volte: già tra le due guerre mondiali, sotto l’ombrello della società delle nazioni e nel 1954 nel tentativo di dar vito alla CED che però non diede nessun risultato, a causa dell’opposizione del presidente francese De Gaulle.

Nel 2016, dopo la Brexit -la prima volta che uno stato europeo dichiara di volersene andare- per reazione viene creata la PESCO, una struttura che sarebbe dovuta nascere nel 2009 con la firma dei trattati di Lisbona ma fu bloccato per la mancata firma proprio del Regno Unito.

Il PESCO è un programma europeo con l’obbiettivo di creare un processo di cooperazione fra le forze armate di 25 paesi e iniziare a stabilire una serie di convenzioni e regolamenti, come modelli standardizzati di munizioni, di veicoli, di supporti logistici e coordinare il più possibile le varie forze armate, renderle più efficienti e meno costose.

Infatti un vantaggio di una possibile creazione di un esercito unico europeo attraverso un modello centralizzato e standardizzato potrebbe diminuire gli sprechi e aumentare l’efficenza, mentre 25 nazioni separate con 25 forze armate diverse lascia campo libero d’azione economica ad ogni stato.

Il progetto PESCO è il primo tassello per una cooperazione militare fra i vari paesi dell’UE ma presenta una falla non di poco conto: ovvero il fatto che non sia vincolante, sono stati forniti infatti circa una ventina di progetti di cooperazione ma non tutti gli stessi paesi partecipano e non tutti partecipano allo stesso modo.

 

Nel corso degli anni degli anni molti altri progetti di cooperazione militare europea sono stati messi in campo, come la creazione di corpi speciali spesso però incapaci di affermarsi a livello internazionale.

Quelli da prendere in considerazione sono due: gli Eu Battlegroups, ovvero 18 battaglioni per un totale di 31mila uomini, corpi di reazione rapida da impegnare in ogni parte dell’Unione; e gli EUFOR-CROC ossia nuclei di risposta operativa, unità di terra composte principalmente da Francia e Germania.

La Francia pare essere il paese in prima fila per lo sviluppo ed una definizione di un progetto di un esercito comune europeo, proponendo il progetto di “iniziativa europea di intervento”, un programma militare con l’obbiettivo non di creare nuovi corpi operativi ma di coordinare i vari stati maggiori al fine di potenziare l’efficenza di quelle risorse che ci sono già.

Ma anche su questo fronte ci sono stati una serie di ritardi, l’Italia stessa con il cambio di governo nel 2018 si è defilata dal progetto per poi rientrarci con il nuovo cambio di governo Conte II.

Da tenere ben a mente e sott’occhio è l’articolo 44 del trattato dell’Unione a cui si è appellata la ministra della difesa tedesca, che permetterebbe la partecipazione alle operazione in base alla volontà degli stati.

A giugno 2017 è stato poi inaugurato il FED, il fondo economico per la difesa.

 

Il punto della discussione però non deve riguardare l’élite politiche e gli intellettuali di questo continente, ma i popoli.

Al fine di creare un esercito europeo è necessaria una maggiore coesione fra i popoli, renderci coscienziosi di una cultura ed identità europea ed occidentale, un fil rouge che unisca italiani e olandesi, spagnoli e tedeschi, greci e belgi.

Quando si parla di questi temi è necessario ricordarsi che la creazione di un esercito vuol dire ad ogni caso una cosa: guerra, guerra significa combattere e per far combattere vicino uomini di diversi popoli significa dover necessariamente mettere da parte sentimenti nazionalisti che ancora oggi, troppo spesso, infiammano le tribune politiche europee.

Simone Savasta

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