19 Aprile, 2024
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Nuove elezioni, vecchie passioni

Il 25 settembre torneremo alle urne. Il popolo italiano sceglierà i nuovi rappresentanti dei due rami del parlamento. Troveremo due importanti novità: il dimezzamento del numero dei parlamentari e il voto ai diciottenni anche al Senato. L’opportunità o meno di presentarci alle urne può essere ancora oggetto da campagna elettorale ma è alle nostre spalle e oggi siamo qui per decidere il futuro del nostro paese. Devo ammettere che ogni volta che si è stabilita la data certa del voto, ho sempre salutato con immenso piacere la prospettiva di poter entrare nuovamente nella cabina elettorale e mettere un segno, ancora una volta, sul partito che meglio si avvicina alle mie aspettative, a un progetto di società più conforme ai miei valori. Quando mi sono recato a votare per la prima volta, in Italia si faceva da circa trent’anni: un diritto acquisito, come l’aria che respiriamo. Nei successivi quarantasei anni di votazioni non ho mai pensato che potesse essere l’ultima volta, non lo penso nemmeno adesso, anche se l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo ha reso l’aria meno respirabile e le strizzatine d’occhio a Putin, tolto qualche certezza.

A parte negli anni della Democrazia Cristiana non ricordo, da parte di tutti i commentatori, un esito delle elezioni così scontato. La solita vera conflittualità del centro sinistra e la consueta falsa compattezza del centro destra sembrano portare a questa, poco auspicabile, conclusione. Vera conflittualità e falsa compattezza sembrano la stessa cosa e forse era l’intento ironico di chi scrive, ma allora perché un esito così scontato? Perché la differenza c’è: nel centro destra esiste una competizione tra i partiti che la compongono ma le parole d’ordine utilizzate sono sempre contro l’altra parte del campo. Nel centro sinistra ogni partito cerca di togliere consenso al partito più grande del centro sinistra, con l’ambizione di diventare il partito più grande del centro sinistra. Finalizzato a cosa? Il problema principale è che quando conquista consenso un partito che rappresenta una comunità, che è forte di una lunga storia condivisa, si è soliti dire: avevamo ragione noi. Quando prende consenso un partito leaderista, il cui simbolo coincide o si collega a un nome, si è soliti dire: avevo ragione io. Non so se l’esito delle prossime elezioni sarà poi così scontato, mi auguro di no, ma di una cosa sono sicuro: dopo aver ritrovato il piacere di votare, spero di poter affermare, un minuto dopo il risultato delle elezioni, che avevamo ragione noi e non che aveva ragione lui, lo dice la mia storia… la nostra storia.
Lorenzo Avincola

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