23 Aprile, 2024
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Botta e risposta con l’allenatore del Bracciano basket

Gigi Satolli e l’obiettivo di crescere tutti. E insieme

Romano di nascita, braccianese d’adozione, classe 1957, due figli (ma nessuno dei due gioca a basket), trascorsi importanti nel mondo della pallacanestro che conta, Gigi Satolli è l’allenatore del sodalizio cestistico braccianese.

Perché la scelta del Bracciano basket?

«Una serie di circostanze, stava finendo il rapporto con la società precedente, è arrivata la telefonata di Luciano (Cioce, nda) e poi… perché sono di origini braccianesi, e dunque mi solleticava il ritorno. Questa è una società ho sempre seguito, seppur da lontano, sapevo che tipo di movimento c’era, e poi il grande l’impegno. Il tutto per tacere dell’entusiasmo che Luciano ha avuto nei miei confronti e non ultimo il fatto che da un po’ di tempo non abito lontano da questa zona. Poi, a questo va aggiunta l’opportunità di poter fare qualcosa senza un obiettivo immediato e l’idea di ricostruire, dopo l’anno e mezzo che abbiamo appena trascorso, un buon ambiente sia a livello giovanile che di prima squadra».

Quali sono gli obiettivi che ti sei prefissato?

«L’obiettivo è, in un tempo che dovremo vedere, quello di salire di categoria. Magari non quest’anno. E poi quello di contribuire a far crescere giocatori, allenatori e staff. Sono dell’opinione che se cresce solo una componente in una società, poi si paga lo scotto. Uno può anche fare una stagione strepitosa, ma poi se non si sono messe le basi il castello di carte crolla. Ecco, l’obiettivo è quello di crescere tutti quanti, insieme».

Come si convincono bambini e adolescenti a dedicarsi al basket? Qui in Italia pare esista solo il calcio…

«Si, è vero, il calcio in Italia fagocita l’interesse, senz’altro. Ma non sono del tutto d’accordo, il basket così come il volley ha una buona base. Certo, veniamo dalla pandemia e c’è molta paura ancora per gli sport che si fanno al chiuso, ma mi rendo anche conto che in questa palestra “siamo pieni” a tutte le ore ed entrare in palestra è un piacere. Spesso arrivo prima agli appuntamenti e trovo sempre tanti ragazzi che si allenano. Inoltre spero che il discorso dell’Olimpiade, dell’exploit che c’è stato quest’anno in tante discipline, basket incluso, porti la gente a praticare sport. Fermo restando ovviamente che il calcio attira e che c’è un’attenzione mediatica superiore rispetto a quella degli altri sport. L’importante però è ripartire. E’ difficile, perché nella testa dei ragazzi e delle famiglie sono entrati tanti altri pensieri».

Quando si vede se un bambino ha la predisposizione per il basket? Non mi interessa sapere se ha la “stoffa”, mi interessa sapere se è adatto al basket.

«Penso sempre che il talento ci debba essere, ma anche che serva molto lavoro. Soprattutto nel nostro sport bisogna aspettare un pochino, nella pallacanestro spesso la fisicità i ragazzi la esprimono più tardi. Noi portiamo sempre il caso di bambini o ragazzi filiformi, che non hanno ancora sviluppato, e che poi magari arrivano ai 17, 18 anni che sono diventati atleti. Sono dell’idea che serva avere molta pazienza, che la stoffa sì, serva. Ma questo è uno sport dove abbiamo tanti esempi di giocatori che sono “arrivati” non partendo da un talento straordinario, ma col lavoro in palestra».

E più facile insegnare alle ragazze o ai ragazzi?

«Le ragazze, soprattutto in questo momento storico, ti danno il massimo se sei coerente e credi in loro. Non bisogna generalizzare, ma da parte delle donne c’è una predisposizione al sacrificio superiore, mediamente la loro voglia è superiore a quella dei maschi. Me lo avevano raccontato allenatori che erano stati nel campo femminile, c’è una forma mentale di impegno molto alta».

Un momento particolare della sua carriera. Cosa le viene in mente?

«Da allenatore ho ancora il piacere di stare in palestra e il ricordo è quello di aver fatto parte dello staff della Virtus quando si giocò l’Eurolega».

Massimiliano Morelli

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