23 Aprile, 2024
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Verso l’elaborazione di una rimozione collettiva

Eccoci alle porte dell’agognata e desiderata estate su cui la maggior parte di noi ha investito la propria ripresa, sia fisica che mentale, non così facilmente scindibili come alcuni ancora illusoriamente pensano. Stiamo attraversando tempi complessi che richiedono grandi cambiamenti, fuori e dentro, chiedono di rallentare e riconoscere il nostro tempo, il nostro ritmo, le cose buone per noi. La pandemia ci ha spogliato di un sacco di cose di cui non avevamo più bisogno e ci ha lasciato forse più leggeri ma indubbiamente più disorientati: abbiamo forse avuto la sensazione di cadere a pezzi, e forse ancora oggi viviamo nella paura data dall’instabilità e la mancanza di certezze di cui questa epoca ci sta facendo fare esperienza.
Ma c’è qualcosa dentro di noi che non ci può togliere nessuno; è quel punto che possiamo contattare stando in ascolto del nostro corpo e del nostro respiro, quel punto che non può essere distrutto da niente, perché vi apparteniamo nella nostra essenza più profonda: la mancanza di contatto fuori, a volte è necessaria per riprendere contatto dentro e sentire profondamente quel radicamento e quella sicurezza che abbiamo sempre illusoriamente ricercato fuori di noi.
Riflettevo su come a volte la società funzioni esattamente come il singolo individuo; capita che davanti a eventi particolarmente dolorosi e traumatici la nostra psiche metta in atto difese per salvaguardare la salute mentale: tecnicamente stiamo parlando di meccanismi di rimozione e di amnesie dissociative, che permettono di sopravvivere a eventi altamente traumatici e dunque difficilmente sostenibili; ora questi meccanismi sono indubbiamente preziosi e svolgono egregiamente la loro funzione, fino a che non scade il loro tempo e spesso quello stesso meccanismo di difesa inizia a diventare causa di malessere, dal quale arrivano segnali che ci dicono che è tempo di elaborazione, che abbiamo dunque sviluppato le risorse per poter affrontare, attraversare e lasciar andare l’esperienze dolorose e faticose attraverso percorsi di consapevolezza dove ci prendiamo la responsabilità di andare oltre al sintomo, e di leggerlo nell’ottica di un suggerimento per riconquistare un maggior benessere.
Credo che su questo ragionamento possiamo disegnare ora la possibilità di ritornare a prenderci la nostra vita con consapevolezza, elaborando questo carattere di “rimozione sociale” che se rimane bloccato e congelato, in un passato non riconosciuto e delegato nell’oblio del “non voglio sapere, ricordare o pensare” rischia di non permetterci d’essere responsabili e presenti a noi stessi e al mondo:
E dunque, se è vero che l’esperienza insegna, facciamo tesoro di quello che abbiamo vissuto in questi ultimi due anni, ricordiamo bene che la “guarigione” profonda delle ferite invisibili che questo evento pandemico ha lasciato dentro ognuno di noi richiedono un tempo; e la rimozione, o il far finta che è tutto passato, non è una buona guida: rispettiamo dunque la nostra storia, e mettiamola al servizio nostro e della comunità per elaborare questo vissuto che è tempo di attraversare per riprendere, in pienezza le relazioni nel mondo, non più e mai più guidati dalla paura, ma da un profondo senso di responsabilità e rispetto per la vita. La miglior guida rimane quel sentimento che se chiudiamo gli occhi ci permette di sentire che siamo tutti collegati su questa terra, e che il vero scopo è quello di ricontattare la nostra gentilezza, morbidezza, tenerezza e amabilità, che è l’unica cosa per cui vale la pena, Essere, vivere, credere e combattere.
Rosaria Giagu

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