6 Maggio, 2024
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Le ultime ore di Sasà in galera: “Sta male? Fatelo morire…”

Dopo la rivolta nel carcere di Modena tra i detenuti trasferiti ad Ascoli c’era Salvatore Piscitelli, ufficialmente deceduto per “overdose di farmaci”.
Aperta un’inchiesta per omidicio colposo su esposto degli altri carcerati, sostenuti dal Garante, che raccontano di botte, mancati soccorsi e visite mediche fasulle

MODENA. “Assistente, assistente, chiamate il medico presto…. Sasà Piscitelli non si muove più, è freddo nel letto…”. Sembra di sentirlo Mattia Palloni urlare e chiede aiuto dalla cella numero 52, al secondo piano del carcere di Ascoli Piceno. Sono le 10 e 20 della mattina del 10 marzo 2020 ed è già la seconda volta che prega gli agenti della penitenziaria di far visitare Salvatore “Sasà” Piscitelli perché “emette dei versi lancinanti”. Ci aveva provato anche un’ora e mezza prima a lanciare l’allarme, ma dal corridoio del braccio era arrivata solo la voce di una guardia: “Fatelo morire”. Sasà ha smesso di vivere poco dopo, steso sul pavimento. Chini sul suo corpo c’erano “un’infermiera che avrebbe voluto provare a fargli un’iniezione” e un commissario che la “fermò facendogli notare che il ragazzo ormai è morto”.

I compagni di carcere arrivati con lui dall’istituto penitenziario Sant’Anna di Modena dopo la violenta rivolta del giorno prima, hanno raccontato le ultime ore di Piscitelli in un esposto consegnato il 20 novembre alla Procura generale di Ancona. Una denuncia su cui ora i pm di Modena hanno aperto un’inchiesta “contro ignoti per omicidio colposo”.

Salvatore Piscitelli, 40 anni, un’esistenza di piccoli reati e un talento innato per il teatro affinato al carcere di Opera a Milano, è deceduto ufficialmente per “overdose da farmaci”. Secondo la ricostruzione durante la rivolta modenese, assieme ad altri, aveva saccheggiato l’infermeria del Sant’Anna impossessandosi di metadone ed altre sostanze poi assunte senza controllo. Probabilmente è andata così, ma secondo cinque altri detenuti che lo hanno visto portare via avvolto in un lenzuolo avrebbe potuto salvarsi. Ne sono convinti i compagni di sezione che lo hanno visto “picchiare” dagli agenti e morire contorcendosi dal dolore nell’indifferenza. Quella di “Sasà” è una pratica chiusa frettolosamente, nella quale risulta deceduto in ospedale e, stranamente, non in carcere dove i compagni dicono di aver assistito al suo ultimo respiro.

Mattia Palloni, Claudio Cipriani, Ferruccio Bianco, Francesco D’Angelo e Cavazza Belmonte nel carcere di Ascoli ci sono rimasti fino alla fine di novembre scorso Tra di loro hanno parlato spesso di quanto successo a Modena, del loro trasferimento nelle Marche, di Sasà e di tutto il resto. E dopo averne rimuginato hanno deciso di scrivere la denuncia. Accuse gravi, che i magistrati di Modena stanno ancora verificando.irus, rivolta nel carcere di Modena

La rivolta

Le rivolte nelle carceri italiane sono state una ventina e si sono concentrano tutte a metà marzo. A scatenarle sono state quasi sempre le restrizioni dovute al rischio di contagi. Per evitare la propagazione del Covid 19 negli istituti vennero bloccati i colloqui con familiari e avvocati. Vietati anche i trasferimenti, nessuno contatto con i volontari e tantomeno con l’esterno per quanti erano in semilibertà. La tensione era salita alimentata dalla paura, dalla difficile convivenza nelle celle, dal sovraffollamento. La conseguenza fu materassi bruciati, arredi distrutti, agenti aggrediti, spazi comuni, laboratori ridotti in macerie e, a Modena, un’intera ala del penitenziario data alle fiamme e resa inagibile. Fino alle infermerie, assaltate in cerca di metadone. A proteste domate il 15 marzo si sono contati 13 detenuti morti, tutti ufficialmente per overdose: a Rieti 3, a Bologna 1 e a Modena 9. L’episodio del Sant’Anna, dove c’erano 560 detenuti a fronte di una capienza di 369, fu il più violento: una volta preso il controllo del penitenziario i carcerati tentarono la fuga di massa evitata solo dai furgoni della penitenziaria messi a sbarrare gli ingressi. L’istituto venne completamente distrutto e 5 detenuti vennero trovati già morti all’interno, altri 4 li seguirono nelle 48ore successive.

La denuncia

“Abbiamo assistito a quello che è successo senza prendervi parte – raccontano i cinque nell’esposto – Le guardie hanno sparato ripetutamente con le armi in dotazione anche ad altezza d’uomo”. Poi la repressione: “Hanno caricato detenuti in palese stato di alterazione psicofisica dovuta all’abuso di farmaci a colpi di manganello al volto e al corpo”. E ancora: “Noi stessi siamo stati picchiati selvaggiamente dopo esserci consegnati spontaneamente agli agenti, dopo essere stati ammanettati e privati delle scarpe, senza aver posto alcuna resistenza. Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e manganellate, un vero pestaggio di massa”. Caricati sui mezzi della penitenziaria per essere trasferiti i detenuti affermano di essere stati “picchiati durante il viaggio verso Ascoli Piceno”. All’arrivo “alcuni di noi furono picchiati dagli agenti di Bologna anche all’interno dell’istituto di Ascoli, nello specifico nei furgoni della penitenziaria alla presenza degli agenti locali”. E anche la mattina seguente “molti furono pestati a calci, pugni e manganellate all’interno delle celle: all’opera c’era un vero e proprio commando di agenti della penitenziaria”.  Quindi le visite mediche, “dove a molti di noi non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee”.

La parte più dettagliata dell’esposto riguarda la morte di Sasà Piscitelli e descrive anche il trattamento che gli sarebbe stato riservato in precedenza: “Già brutalmente picchiato a Modena e durate la traduzione, arrivò ad Ascoli in evidente stato di alterazione da farmaci, tanto da non riuscire a camminare e da dover essere sorretto da altri detenuti”. Nessuna visita medica approfondita (obbligatoria quando si esce e si entra in una casa circondariale) e nessun tentativo di salvargli la vita secondo la denuncia.fiamme

I legali

La legale di Mattia, l’avvocata Donata Malmusi, non ha potuto assistere all’interrogatori già fatto in Procura. “Mattia è stato sentito come persona informata sui fatti e questo significa che non è indagato per la rivolta”, dice. Inoltre, “si tratta di detenuti per piccoli reati che presto usciranno, non avrebbero alcun interesse a fare una denuncia così grave se non fosse vero”. Analoga idea si è fatto l’avvocato Domenico Pennacchio, difensore di Ferruccio: “Dopo i fatti di Modena la famiglia non è riuscita ad avere contatti con lui  per settimane. Solo molto dopo la madre lo ha visto e sentito via skype in colloqui comunque controllati. La signora mi ha detto di averlo trovato spaventato, di aver percepito che dietro le poche frasi che pronunciava c’era una richiesta disperata d’aiuto. La pandemia ha blindato e reso inaccessibile ancora di più le carceri italiane e oltre quelle mura, almeno per noi, è complicato sapere cosa succeda”.

(La Repubblica)

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