27 Aprile, 2024
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“Stanno uccidendo mio figlio”, il dramma del papà di Omar: non riesce nemmeno a respirare

“Le condizioni di Omar sono incompatibili con il regime carcerario”.

In un fascicolo lungo centinaia di pagine si susseguono i certificati dei numerosi medici che hanno visitato Omar, 47 anni, detenuto nel carcere di Avellino da due mesi: nero su bianco c’è scritto che Omar non può stare in carcere perché lì rischia di morire.

Suo padre è disperato e chiede a gran voce alle autorità che suo figlio possa andare agli arresti domiciliari, che venga fatta luce sulla situazione per “punire i responsabili del trattamento inumano che sta subendo Omar, onde evitare che succeda quella che appare una tragedia annunciata”. Ancora una volta, in tempi di pandemia, in cui il sovraffollamento delle carceri è un pericolo enorme per la salute di tutta la popolazione carceraria, si tende a trattenere una persona fragile sebbene la sua sia una misura cautelareIl suo papà non chiede che siano fatti sconti di legge a suo figlio, solo che non debba morire in carcere di carcere.

Omar ha 47 anni, è un grande obeso, ha un’insufficienza respiratoria cronica, è iperteso, cardiopatico e diabetico e di notte soffre di apnee a causa delle quali spesso perde i sensi. La situazione è aggravata da una pesante depressione ansiosa e dalla sua dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti. Omar potrebbe morire nel sonno nell’indifferenza di tutti senza il respiratore di cui ha bisogno per vivere. Un respiratore che chiede da tempo ma che non gli è mai stato dato dal carcere e che comunque non potrebbe salvargli la vita nelle condizioni in cui si trova attualmente, nemmeno se glielo portassero i familiari, come richiesto dal magistrato.

Il motivo lo ha spiegato il papà di Omar: “Anche la presenza di una macchina Cpap non sarebbe garanzia dell’assistenza medica di cui il 47enne ha bisogno. Si tratta infatti di macchinari complessi, che richiedono manutenzione e ambienti sterili, senza dimenticare i punti interrogativi legati all’istallazione della strumentazione, l’alimentazione e le cura dei filtri”.

Ma il giudice di rimandare a casa Omar agli arresti domiciliari non ne vuole sapere. Il ragazzo era incensurato, è finito in carcere perché sorpreso a spacciare in casa. Rimandarlo tra le sue quattro mura potrebbe, secondo i giudici, portare alla reiterazione del reato. Ma in carcere Omar rischia la vita. Il Gip ha rigettato il ricorso dell’avvocato Danilo Iacobacci per ottenere i domiciliari.

Intanto le condizioni di Omar si aggravano di giorno in giorno: se ne sta immobile nella sua umida cella, nell’impossibilità di muoversi è ingrassato notevolmente e sono comparse le piaghe sul corpo. Ha anche la bronchite. “Per le sue patologia ha bisogno di un ambiente salubre e di continua assistenza – dice il papà – È invalido civile quasi totale, deve fare continui esami clinici e visite mediche quotidiane”. A casa potrebbe avere tutto questo pur continuando a scontare la sua pena.

Tutto questo accade in un momento storico in cui il Governo ha incentivato misure alternative al carcere per i detenuti più fragili o vicini al fine pena. C’è scritto nel decreto Ristori. Ma Omar deve rimanere a soffrire in carcere. “Non riesco a trovare una spiegazione delle ragioni che tengono in carcere il mio assistito – ha commentato Danilo Iacobacci – posso solo dirle che le perizie redatte dal medico del carcere e dal perito del GIP di Avellino lasciano pochi spazi al dubbio, nel senso che manifestano una situazione di salute largamente e diffusamente compromessa, e quindi non mi spiego, soprattutto dal punto di vista umano prima che giuridico la presa di posizione del GIP”.

“Sono attento osservatore delle decisioni della magistratura, anche quando non le condivido ed anche quando appaiono inspiegabili – conclude l’avvocato Iacobacci –  e confido nel fatto che la stessa magistratura ponga rimedio agli errori dei giudici. Ad esempio posso dire che il Tribunale del riesame di Napoli si sta interessando della cosa, ha nominato dei medici per valutare il caso ma purtroppo l’udienza è il 23 dicembre, e spero che il mio assistito sopravviva fino a tale data. Posso anche dire che il Garante dei detenuti ci ha espresso la sua solidarietà e spero che venga superata questa situazione che, come le dicevo, non mi spiego”. Intanto il tempo passa e non fa sconti a nessuno.

(Il Riformista)

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