27 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

Recovery Fund, alla cultura 3 miliardi. Felicori: “Sono pochi ma il digitale può salvarla”

«I tre miliardi del Recovery Fund destinati al turismo e alla cultura certamente non sono sufficienti.

Mi auguro che i due comparti siano stati inseriti in quello della digitalizzazione che rappresenta la vera sfida per il futuro. L’altra è convincere le istituzioni che, quando si parla di Economia con la “e” maiuscola, la cultura ne è una parte fondamentale»: Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta dal 2015 al 2018, ora assessore alla Cultura e al Paesaggio dell’Emilia-Romagna, commenta la ripartizione delle risorse del Recovery Fund ipotizzata dal governo Conte.

Dei 196 miliardi in arrivo, 49 sono per la digitalizzazione, 74 per l’economia ecologica, 17 per la parità di genere. Solo tre per turismo e cultura, nonostante in Italia siano più di 4 milioni le persone impiegate nel turismo, comparto che vale circa il 15% del pil nazionale e campano. Nel mondo della cultura lavorano invece 825mila addetti. Un dato che colloca il Belpaese al quarto posto della speciale classifica occupazionale, dietro Germania (1,6 milioni di occupati), Regno Unito (1,4 milioni) e Francia (939mila). In questi mesi, oltre il 70% degli enti culturali ha stimato perdite di ricavi superiori al 40% del bilancio e a il 13% prospetta perdite che superano il 60%.

Direttore, tre miliardi di euro saranno sufficienti per risollevare le sorti di due comparti che rappresentano senza dubbio un volano importantissimo per la nostra economia?
«La prima risposta che mi viene da darle è: sicuramente no. Ma voglio pensare, in chiave ottimistica, che nei soldi assegnati per promuovere il digitale sia contemplata la cultura. In quel caso il discorso sarebbe diverso perché è adesso è proprio di digitalizzazione che ha bisogno quel settore».

Perché è così importante che nei 49 miliardi dedicati allo sviluppo della digitalizzazione ci sia spazio anche per la cultura?
«Perché la pandemia ci ha fatto capire che il digitale è il futuro. L’Italia ha un patrimonio formidabile di archivi e di biblioteche storiche che attendono solo di essere digitalizzate. Se quando viene fatto il programma di digitalizzazione si dà molto spazio alla pubblica amministrazione, allora ne beneficiaanche la cultura che ne è parte integrante. E la visione che si ha adesso della cultura è totalmente sbagliata proprio perché si crede che sia una cosa separata dalla pubblica amministrazione e dall’economia in generale».

In questo momento a cosa pensiamo quando pensiamo alla cultura?
«A un segmento assolutamente separato dall’economia, da quell’economia che io definisco Economia con la “e” maiuscola. Ed è sbagliatissimo».

Come mai?
«Perché in qualunque voce della spesa pubblica possiamo includere il discorso sulla cultura, che non è solo un valore o la più alta forma di civiltà, ma un asset che traina lo sviluppo del territorio e, come gli altri spicchi del tessuto economico, fa rima con competitività e internazionalizzazione. L’idea che c’è ora della cultura è troppo arretrata: dobbiamo immaginarla, invece, come l’anima che pervade l’insieme delle nostre attività».

E lei l’anima ce l’ha messa quando è stato direttore della Reggia di Caserta: in quegli anni ha potuto vivere la bellezza e le contraddizioni della nostra Regione. Che idea si è fatto della Campania?
«È senza dubbio un territorio dalle potenzialità enormi. Ti permette di sognare molto, ma ti fa anche arrabbiare molto. La Campania ha un patrimonio culturale straordinario, però c’è ancora tanto da fare».

Da dove bisogna iniziare?
«Sicuramente dal restauro degli edifici storici. Poi bisogna lavorare sulla promozione e sulla comunicazione culturale. Occorre attirare i turisti, ma poi bisogna anche che escano da un museo più ricchi. In Campania bisogna lavorare per trasformare una visita guidata in un’esperienza irripetibile. Servono i soldi, ma anche una strategia che possa poi portare a numeri importanti».

Lei ricorda quelli della Reggia di Caserta?
«Certo. Al mio arrivo contava 400mila visitatori l’anno, quando sono andato via ne contava 900mila. Io, però, faccio sempre il paragone con la Reggia di Versailles che ospita sette milioni di visitatori l’anno: è a quel numero che bisogna puntare».

Come si raggiungono quei risultati?
«Con il denaro, con la digitalizzazione e con una strategia che punti all’internazionalizzazione».

(Il Riformista)

Ultimi articoli