20 Aprile, 2024
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“Mia madre persa nel buco nero delle Rsa: scheletrica e abbandonata…

L’ho portata a casa e l’ho salvata dal Covid”

La storia della signora di 79 anni, malata di Alzheimer, finita in ospedale dopo una caduta e spostata in varie residenze sanitaria per la riabilitazione durante il lockdown. La figlia: “Nessuno se ne prendeva cura. Ho deciso di farlo io”

Mia mamma – malata di Alzheimer, 79 anni l’8 dicembre – è viva per miracolo. È stata ricoverata in una Rsa poco prima che scattasse il lockdown. Dal 4 marzo, e fino al primo giugno scorso, non l’ho più vista. Solo in videochiamata. Quando io e mia sorella l’abbiamo incontrata di persona, ci ha preso un colpo: era magrissima, scheletrica, pesava 39 chili – prima 69 – per 1,75 di altezza. Adesso sta bene, anche se è in sedia a rotelle. Finalmente è a casa”.

Francesca Benecchi, 51 anni, di Civitavecchia, può tirare un sospiro di sollievo. E riabbracciare sua madre, Anna Maria, tutte le volte che vuole. “Se fosse rimasta un altro mese lì, si sarebbe spenta piano piano. Abbiamo rischiato di perderla”. Sua madre, dopo essere caduta accidentalmente in casa e aver sbattuto la testa, è stata ricoverata all’ospedale di Civitavecchia. Un mese dopo è stata mandata in una casa di cura a Santa Marinella. E poi ancora in un’altra Rsa a Civitavecchia, “giusto il tempo di farle fare la riabilitazione e di rimetterla in sesto: era questo l’obiettivo”.

Ma la pandemia ha stravolto i piani di tutti. Anche della famiglia Benecchi. “Oltre a mia madre, pure il Covid è entrato nella casa di cura”. Da lì, è iniziato il calvario. “L’accesso ai familiari è stato negato”. Come se non bastasse, “il virus si è propagato anche tra gli operatori. Molti anziani si sono contagiati, la metà sono morti. Io potevo vedere mia madre solo tramite videochiamata per 5 minuti, al massimo 10, a volte neppure quelli”. Pochi attimi e così da vicino. “Vedevo solo il suo volto. Null’altro. Mi diceva che stava bene. E invece mangiava da sola, nessuno la controllava. Sapevo che era in una stanza con tre anziani, di cui una positiva. Essendo risultata più volte negativa al tampone, è stata trasferita in un’altra struttura a Morlupo. E poi ancora in una Rsa a Tolfa”.

Una gimkana, da una casa di cura all’altra, cercando di schivare il virus. Ma è a Tolfa che viene data la possibilità a Francesca di incontrare la madre, a distanza:

“Mi hanno chiamato per dirmi di raggiungerla e per vedere se le condizioni di mia madre fossero come quelle di quando l’avevo lasciata”. Francesca quell’immagine ce l’ha ancora impressa nella mente: “Vedere che non si reggeva in piedi, è stato mentalmente devastante. Mi è crollato il mondo addosso. Quel giorno non l’ho potuta neppure abbracciare”. Anna Maria è rimasta sotto osservazione per qualche giorno, vedeva la figlia in una stanza da dietro a un vetro: “Quando mi hanno detto che potevo andarla a prendere, sono salita in macchina, l’ho presa e l’ho portata a casa. Pesava 42 chili. Adesso 47. Sta recuperando forza e peso. Mi sento fortunata”.

Ogni giorno Francesca accudisce la madre e se ne prende cura. Nonostante le complicazioni, legate al Covid e alla malattia di Anna Maria. È una delle pochissime persone che ha deciso di prendere il genitore da una Rsa e portarlo a casa. “Le piace giocare a rubamazzetto”, dice col sorriso.

“Mi dò il cambio con papà Bruno. Da quando mamma è tornata, anche lui è rinato: era depresso, aspettava il suo rientro giorno e notte”. Le difficoltà, certo, non mancano. “Ma le strutture per anziani non sono sicure. E hanno costi elevati. In quei mesi ho resistito anche grazie a un comitato che raggruppa i familiari dei pazienti nelle Rsa, ci siamo dati coraggio. Ora cerco un equilibrio, dopo la tragedia, scampata, che si è abbattuta su di noi. Ma ce la caviamo. Con l’amore si trova la forza”.

(La Repubblica)

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