15 Ottobre, 2024
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Il nuovo libro. Il sogno possibile di papa Francesco per il post-Covid

In conversazione con il vaticanista britannico Austen Iveright, il Papa conduce i credenti a fare un’esperienza di discernimento per costruire un domani più umano

«Quando passerà la tempesta ti chiedo, Dio, con vergogna, di rifarci migliori, come ci avevi sognati». Si chiude con i versi del cubano Alexis Valdés Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, scritto da papa Francesco in conversazione con il noto vaticanista britannico Austen Ivereigh, in uscita simultanea il primo dicembre in Gran Bretagna, Brasile, Francia, Spagna e America Latina, Germania e Italia, dove è stato pubblicato da Piemme. Il primo libro di un Papa realizzato in risposta a una crisi mondiale, quella della pandemia. Anche se, più che come Pontefice, qui Francesco si pone come «direttore spirituale dell’umanità», ha sottolineato Austen Ivereigh, nella presentazione, via Web. Il momento è cruciale: «l’ora della verità», la definisce Bergoglio.

Il Covid non lascia scappatoie. Non ci resta che attraversare la soglia. Per passare dove? Verso quale orizzonte ci affacciamo? Non c’è una risposta preconfezionata, poiché il mondo non è fatto una volta per sempre. La creazione è un processo dinamico, in cui gli esseri umani non sono spettatori passivi ma “cocreatori”. Il presente e il futuro post-virus sono una nostra scelta, come individui e come comunità. Dio, però, non ci lascia soli e ­– sottolinea il Papa ­– continua a rivolgerci la stessa esortazione fatta a Isaia: «Vieni e discutiamo. Mettiamoci a sognare».

Per scoprire come farlo, però, «è necessario che vediamo con chiarezza, scegliamo bene e agiamo in modo giusto». Pagina dopo pagina, Francesco guida il lettore in un’esperienza di discernimento articolata nei tre tempi del “vedere, scegliere, agire”, versione attualizzata del metodo conciliare del vedere-giudicare-agire. Il Pontefice si sofferma sull’attualità ferita ­­– dagli abusi al #MeToo, dalla distruzione delle statue alle proteste per la morte di George Floyd ­-, in cui il Covid rappresenta il «momento Noè», «purché e quando troveremo l’Arca dei vincoli che ci uniscono, della carità, della comune appartenenza». In questa parte, il Papa svela con coraggio e generosità alcuni momenti intimi della sua biografia. Come il processo di maturazione della coscienza ecologica. O come i suoi tre Covid: la malattia da giovane, “l’esilio” in Germania e quello a Córdoba, “una vera purificazione” dopo una lunga stagione di governo nella Compagnia che «mi ha dato più tolleranza, comprensione, capacità di perdonare».

 

«Tra il primo passo, quello di avvicinarti e lasciarti colpire da ciò che vedi, e il terzo passo, cioè agire concretamente per curare e per riparare, c’è uno stadio intermedio essenziale: discernere e scegliere». Maturare, dunque, la consapevolezza che un mondo migliore deve fondarsi sul principio organizzativo della fratellanza, non su quello dell’individualismo. E per farlo è necessario evitare la tentazione dei circoli dei puri, della barricate, della polarizzazione. La via è «camminare insieme». Urge, una conversione sinodale, fuori e dentro la Chiesa. E, perché la riflessione non resti astratta, Francesco ripercorre i momenti salienti dei tre Sinodi finora svolti nel corso del Pontificato. Da questi scaturiscono tre lezioni: la necessità di ascolto rispettoso, la capacità di sciogliere i nodi attraverso il “sovrappiù” di Dio, la pazienza dell’attesa. «Discernere nel mezzo del conflitto a volte ci impone di accamparci insieme, aspettando che il cielo schiarisca” nella certezza che “il tempo appartiene al Signore».

Il tempo dell’azione, infine, ci chiede di recuperare l’appartenenza al popolo. Il Papa, spesso accusato a sproposito di populismo, analizza nel dettaglio che cosa significhi davvero questo termine, alla luce del Vangelo. Un’accezione ben diversa da quella che gli danno i populisti, i quali lo trasformano in massa inerte. Per congiungersi con il popolo, il credente è chiamato ad andare alle periferie. Di nuovo, Bergoglio inframmezza la riflessione con il ricordo della sua personale esperienza di vescovo, nell’accompagnamento dei movimenti popolari a Buenos Aires.

«Forse ci domandiamo: e ora che cosa dovrei fare? Che posto potrei avere in questo futuro, e come faccio per renderlo possibile?». La risposta di Francesco è esigente e, al contempo, carica di fiducia nell’essere umano: «Dal labirinto si viene fuori solo indue modi: verso l’alto, decentrandoti e trascendendo, o lasciandoti guidare dal filo di Arianna». Quest’ultimo è lo Spirito che ci chiama fuori da noi stessi ­– Bergoglio lo chiama, citando Chesterton «strappo» ­-, attraverso gli altri. Quando senti lo strappo, fermati e prega. Leggi il Vangelo, se sei cristiano. O fai spazio dentro di te e ascolta. Apriti… decentrati… trascendi. E poi agisci. Chiama; vai a vedere; offri il tuo servizio. Di’ che non sai niente di quello che fanno, ma che forse puoi dare una mano. Di’ che vorresti contribuire a far parte di un mondo diverso e hai pensato che quello potrebbe essere un buon punto di partenza”.

(Avvenire)

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