27 Aprile, 2024
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Decaro: “Noi sindaci non siamo sceriffi”

Abbiamo reagito con veemenza a una norma inapplicabile che ci chiamava in causa perché di fronte a una sgrammaticatura istituzionale

Siamo in un momento delicato e difficile per il nostro Paese. E in momenti così, chi ha la guida di una comunità, che sia un paese, una città o l’intera nazione, sicuramente non può difettare in due caratteristiche: senso di responsabilità e coraggio.

Il senso di responsabilità a noi sindaci non manca.

Lo dimostriamo ogni giorno assumendoci il compito di prendere decisioni spesso difficili e che sempre scontentano qualcuno.

Il coraggio direi neppure, visto che, tanto più in questa emergenza, ci troviamo a contatto quotidianamente con la paura delle persone e non possiamo – proprio non potremmo, neppure volendolo – girarci dall’altra parte.

Non è stato sicuramente per mancanza di coraggio, quindi, per paura di assumerci la responsabilità delle scelte, che abbiamo reagito con veemenza alla norma che ci chiamava in causa, inserita nell’ultimo decreto del presidente del consiglio dei ministri. Un articolo che ci affidava il ruolo di controllori di zone delle nostre città chiuse al passeggio per evitare affollamenti, che abbiamo appreso dalla tv, senza che ci fosse concessa alcuna valutazione preliminare, nonostante le decine di riunioni e conversazioni che hanno visto noi sindaci impegnati con il governo nelle ore precedenti alla diramazione del provvedimento.

A innescare una reazione, che credo fosse non solo legittima ma necessaria, è stata la sorpresa. La sorpresa di non essere stati consultati, certo. Una sgrammaticatura istituzionale. Ma non si trattava certo di un problema solo di forma. Con quell’articolo venivamo indicati all’indirizzo dell’opinione pubblica come i detentori di un potere che non abbiamo e non avremmo potuto esercitare.

Ho letto e ascoltato più volte in questi giorni l’espressone “sindaci sceriffi”.

In qualche caso commentatori e opinionisti l’hanno usata per – nello stesso momento -contestare un atteggiamento che di solito assumeremmo (e non è così) ed esortarci ad assumere quell’atteggiamento in questa delicatissima fase. Proviamo a fare chiarezza, come ha fatto ciascuno di noi con i suoi concittadini: al di là delle sintesi giornalistiche, i sindaci non possono essere sceriffi perché non guidano le forze dell’ordine come, per esempio, accade in alcune città degli Stati Uniti. Lo dispone l’ordinamento giuridico del nostro Stato e non basta certo un Dpcm a modificare le nostre competenze.

Ecco perché dico che reagire era non soltanto legittimo ma indispensabile per chiarire ai cittadini, alle prese con la grande paura del contagio e la grande confusione di regole del tutto inedite e che mutano, due cose: la prima, che naturalmente i sindaci possono individuare e indicare nelle ordinanze contingibili e urgenti che hanno facoltà di emanare, le zone da inibire al passeggio; la seconda, che non possono esercitare l’indispensabile controllo perché queste ordinanze siano rispettate.

A quanto sembra la nostra reazione ha funzionato, è servita a fare un’operazione di indispensabile chiarimento.

Lo dimostra il fatto che il governo stesso, attraverso i suoi massimi rappresentanti, ha dovuto correggere il tiro e inserire in questo processo di definizione di limiti e divieti, le prefetture e le questure che dell’ordine pubblico sono responsabili.

Quanto al nostro coraggio e al nostro senso di responsabilità, non ci siamo sottratti, non siamo sfuggiti temendo l’impopolarità. Siamo consapevoli di attraversare una crisi gravissima e di certo non ci mettiamo a contare i like come se fossimo sui social. Ma non serve che sia io a scriverlo: le ordinanze che stiamo emanando in tutte le città credo parlino per noi.

(La Stampa)

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