20 Maggio, 2024
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Romney, Bush e gli scrupoli religiosi di Trump

La vecchia guardia del Partito Repubblicano americano ha annunciato che a novembre voterà esattamente come nel 2016, e cioè contro Donald Trump. E in questo discorso il fattore dell’appartenenza religiosa ha il suo peso

Non è un semplice caso che proprio adesso, nel pieno della bufera creata dall’uccisione di George Floyd a Minneapolis, la vecchia guardia del Partito Repubblicano americano annunci che a novembre voterà esattamente come nel 2016, e cioè contro Donald Trump. Se le tensioni a sfondo razziale non potevano che spingere tra le braccia di Biden il generale Colin Powell, da sempre un repubblicano moderatissimo, è significativo che poco prima si fosse saputo l’orientamento elettorale del mormone Mitt Romney e dell’evangelico rinato George W. Bush.

Il richiamo all’appartenenza religiosa è un’altra coincidenza solo apparente. Romney è sempre stato un esponente della corrente centrista del Grand Old Party, in coerenza con la sua estrazione religiosa. Di Bush non si può dire altrettanto, ma cosa è arrivato dopo di lui (dai Tea Party all’attuale inquilino della Casa Bianca) fa sembrare il suo Conservatorismo Compassionevole l’ideologia ispiratrice della Fabian Society. Marvin Olasky si è trasformato, causa le circostanze, in George Bernard Shaw.

Lo stesso sta avvenendo con una parte – sia chiaro: al momento minoritaria – degli evangelici, nelle cui file cresce – lentamente: sia chiaro – il numero di quanti guardano con maggiore perplessità costa sta avvenendo nel loro Paese.

L’appartenenza religiosa 

Dietro le decisioni di ridurre poteri e budget alle forze dell’ordine in diverse città statunitensi non c’è solo il desiderio di appagare le richieste delle piazze. E anche qui il fattore dell’appartenenza religiosa ha il suo peso. L’emblema di questi evangelici che iniziano a porsi dei dubbi sull’effettiva capacità di Trump di affrontare la situazione è proprio W. Bush. è necessario ricordarlo ancora una volta: fu lui a scatenare la Guerra dell’Iraq nel 2003 sulla base del consenso di neocon, teocon, evangelici e pentecostali.

Della cosa non si è mai pentito, almeno ufficialmente. La piega che hanno preso le cose più tardi però non lo appaga, essendo in fondo lui stesso un membro del mainstream americano. Sarah Palin e The Donald non lo sono. Una differenza che va ad intrecciarsi anche con le diverse appartenenze alle tante chiese americane, ed alle differenziazioni all’interno di queste. W. Bush è rinato evangelico, ma è nato episcopale. Non poteva essere altrimenti, essendo gli episcopali la creme del protestantesimo d’Oltreoceano.

I loro cugini più stretti sono gli anglicani d’Inghilterra, per capirci. Storicamente gli episcopali sbocciarono in America buoni secondi (essendo i primi, notoriamente, i puritani della Mayflower), ma subito assunsero un ruolo dominante nelle elite.

Negli ultimi decenni, come anche i loro cugini britannici, hanno assunto posizioni molto aperte in materia teologica, morale e addirittura geopolitica. Inutile dire che la famiglia del presidente più preppy di tutto il Novecento (alludiamo qui non a Bush figlio, ma a Bush padre) fosse bene integrata in questo contesto. Anzi, integratissima. Il figliol prodigo finì tra gli evangelici solo perché, onorando il suo ruolo, aveva dirazzato: si era dato all’alcol e alla fine aveva trovato una donna di robusti fianchi e robusto carattere chiamata Laura.

Ma anche il vecchio aveva strizzato da tempo l’occhio a versioni più integraliste del protestantesimo nazionale. Fin, per essere precisi, dal 1988: quando cioè uscì dall’ombra quasi paterna e pertanto ingombrante di Ronald Reagan e tentò la scalata alla Casa Bianca. La cosa ebbe successo anche perchè – al pari di Reagan – seppe giustappunto rendersi accettabile alla Maggioranza Silenziosa degli stati del Midwest, lui che era texano laureato a Yale. Ma fu l’innamoramento di un’estate o poco più: tra i fedeli di Praise the Lord sulla Tbn ci si accorse presto che sotto quei proclami di gusto veterotestamentario si nascondeva ben poco.

No, non è che ci si nascondesse ben poco: il problema è semmai il contrario. Ci si trovava tutto, e tutto emergeva nel suo pieno convincimento. Solo che emergeva come poteva emergere dall’atteggiamento di un distinto post-anglicano di famiglia facoltosa abituato, se non all’understatement, a dire le cose senza urlare. Insomma, non c’era gusto e non dava soddisfazione: subentrò una forma di indifferenza. Nel 1992 Bush se ne accorse a sue spese.

Più tardi, proprio mentre il figlio comandava le forze armate americane, altri fatti intervennero a rendere più profondo il distacco tra episcopali ed evangelisti, come la nomina di un vescovo dichiaratamente gay da parte dei primi, con conseguente spaccatura all’interno della Comunione Anglicana nordamericana.

Il contraccolpo di queste tensioni ha rafforzato gli episcopali più tradizionalisti, riavvicinandoli a segmenti del mondo religioso americano che fino a poco tempo fa sembravano lontanissimi, e personaggi come Bush figlio ora si possono trovare comodamente a restare in una comunione rappresentando molte istanze dell’altra.

Chi apprezza Donald Trump

Lo stesso non si può dire di Trump, considerato dalla maggior parte del mondo episcopale troppo vicino a posizioni estremiste, su questione etiche ma non solo. Questo cambia molte cose, soprattutto se si considera che certi amori, dopo quattro anni, possono sfiorire se non sparire del tutto. Ad esempio gli evangeli che oggi dicono di non amare Trump sono già un terzo del totale. Pochi, ma il campanello suona per un focolaio d’incendio su cui intervenire subito.

Chi stravede per l’attuale Presidente sono i cattolici oltranzisti, semmai.

Ancora ieri il sito Life Site ha pubblicato con grande risalto una lettera spedita direttamente all’inquilino della Casa Bianca da Monsignor Carlo Maria Viganò, che di certo non può essere annoverato tra i fan di Papa Bergoglio.

“La mia preghiera è costantemente rivolta all’amatissima nazione americana”, scrive Viganò, “in futuro si scoprirà che i disordini di questi giorni sono stati provocati da coloro che, vedendo come il coronavirus stia inevitabilmente sparendo e con esso l’allarme sociale, si sono trovati nella necessità di provocare tensioni sociali, sapendo che queste sarebbero state seguite da una repressione che, sebbene legittima, si presta ad essere condannata come una ingiustificata aggressione contro la popolazione civile”.

Musica per le orecchie di ogni negazionista appassionato alle delicatezze della Realtà Alternativa. Peccato che non tutti i cattolici, in America, la pensino in questo modo. Del resto non la pensano così nemmeno tutti gli episcopali, ai quali adesso strizza l’occhio un evangelista dal volto umano, troppo umano.

E allora si capisce come mai pochi giorni fa Trump, sfidando i manifestanti, sia andato a visitare una chiesa cattolica, ma prima sia passato da una chiesa episcopale. In entrambi i casi le rispettive gerarchie non hanno per nulla gradito. La speranza del Presidente però non è tanto quella di accattivarsi i loro fedeli, quanto di bloccare i nuovi George W. Bush.

(Agi)

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