“ I terroristi pensavano di farmi cambiare obiettivi e stroncare le mie ambizioni, ma l’unica cosa che è cambiata nella mia vita è che la debolezza, la paura e la disperazione sono morte e sono nate la forza, la potenza e il coraggio”. Firmato Malala, la più giovane premio Nobel della storia e simbolo del riscatto musulmano contro l’oscurantismo e la barbarie. Dopo i tragici avvenimenti nella Capitale francese, dovremmo fare nostra la lezione di questa giovane pakistana che si è salvata per un soffio dalla furia dei talebani.
“Paris brule-t-il? Parigi brucia?” Per analogia la strage di venerdì 13 riporta alla memoria la voce rancorosa di Hitler, alle soglie della disfatta, che come ultimo atto vendicativo voleva distruggere col fuoco la “Ville lumière” e tutto ciò che in termini di cultura e democrazia questa città ha da sempre rappresentato in Europa e non solo, e che il dittatore nazista detestava considerando quei fattori decadenti. Parigi è la sintesi perfetta delle nostre radici, della nostra civiltà che un sedicente autoproclamato Califfato islamico, ormai sull’orlo della sconfitta, ha voluto punire come rappresaglia dopo l’attentato all’aereo russo e alla strage a Beirut. La dinamica di quella tragica serata parigina è ormai nota e gli autori risultano essere manovali del terrorismo, indottrinati di fanatismo e devianza religiosa, plasmati militarmente come perfette macchine di morte fino al suicidio.
Sono i terminali di una centrale del terrore i cui registi restano impuniti e minacciano dalla torre d’avorio di soldi e traffici nuovi attentati. E’ quella centrale che va distrutta se vogliamo eliminare il bubbone. Va distrutta con ogni mezzo e in primis tagliando i rubinetti dei soldi e il traffico delle armi. Questi tagliagole che hanno fatto della violenza il punto più sanguinario del metodo di lotta ora adottano la strategia della tensione come ultima sfida al mondo civilizzato e comunque a chi non condivide il loro modello. Non dobbiamo farci intimorire ma nemmeno abbassare la guardia anche se la prevenzione dovesse costare qualche rinuncia alle nostre libertà individuali. Molti si chiedono come sia stato possibile che questi sanguinari abbiano potuto proliferare, fare proselitismo anche grazie ai social network e addirittura conquistare un territorio dove radicarsi.
Detto schematicamente, la genesi parte da lontano e affonda le radici nella storica ed eterna faida tra sunniti e sciiti giunta al culmine dopo le infelici campagne contro l’Iraq, la Libia e la recente contro la Siria amica dell’Iran sciita, in un intreccio di conflittualità religiosa e interessi per l’egemonia nel Medioriente. Egemonia che nuota nell’oro nero e la finanza mondiale. In questo scacchiere convulso alcuni Paesi occidentali che si affacciano sull’Atlantico e nel Mediterraneo, hanno giocato un ruolo determinante, si è rischiata una nuova Guerra fredda con la Russia mentre dal Golfo Persico, è cosa ormai nota, si foraggiavano gli anti sciiti. Si è verificata però la classica variabile impazzita, nella veste incontrollabile della scheggia salafita che si è ritagliata una nicchia di potere e di pozzi petroliferi, seminando al suo passaggio sangue e macerie. Le cronache ci ricordano gli eccidi, le esecuzioni sommarie, gli stupri, lo scempio, il calvario degli Yazidi, dei Copti, dei Musulmani, dei Cristiani, dei Curdi che però hanno reagito e possono considerarsi i veri partigiani combattenti, tra mille difficoltà compreso il “fuoco amico”, contro queste nuove SS del cosiddetto Califfato. Illuminante l’esortazione di Farid Adly.
Direttore di Anbamed, notizie dal Mediterraneo. Sembra scritta oggi, è del 2003: “Noi intellettuali arabi e musulmani, presenti in Italia ed in Europa, non possiamo più esimerci dal prendere una posizione chiara ed esplicita di rifiuto del terrore. Il cancro del terrorismo colpisce prima di tutto le nostre società d’origine, avviluppandole in un futuro oscurantista. Urge invece una chiarezza nel nostro campo. Ora. Non è una resa a forze esterne, ma una difesa del bene più prezioso che possediamo: la vita ed il futuro di uomini e donne. Di ogni luogo, credo, religione e nazione. Agli appelli ed alle azioni di chi chiama alla guerra tra civiltà, dobbiamo contrapporre la fede nel dialogo e nella costruzione di ponti.
Continuare a lamentarsi soltanto delle colpe, passate e presenti, dell’occidente alimenta il senso di frustrazione che gli arabi vivono ancora, a quasi mezzo secolo dall’indipendenza politica. Se abbiamo da recriminare, lo dobbiamo fare nei confronti delle nostre classi dirigenti che hanno fallito il loro compito e hanno fatto prevalere interessi personali e di casta rispetto a quelli generali e pubblici. Soltanto un riscatto improntato sulla razionalità e sull’affermazione della tolleranza, potrà condurre i popoli arabi e musulmani fuori dal pantano del terrorismo e dall’arretratezza. Non lasciamo in mano a dei pazzi sanguinari l’eredità di 14 secoli di civiltà arabo-islamica! Diamo un esempio di opposizione chiara e coraggiosa, per non lasciare una moltitudine di giovani in preda al sopprimente pensiero della pura e stupida violenza.”
Ufficio Stampa PD Ladispoli