30 Aprile, 2024
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TERRY GILLIAM, IL DON CHISCIOTTE DEL CINEMA

di Marco Feole

Dopo una maledetta lavorazione durata praticamente 25 anni, oggi  giovedì 27 uscirà al Cinema finalmente “L’Uomo che uccise Don Chisciotte” di Terry Gilliam. Per gli appassionati è inutile spiegare perchè un film cosi sia tanto atteso. Se non solo per l’interminabile lavorazione, ma per la firma che porta! Per tutti gli altri che non conoscono e non sanno chi è Terry Gilliam, intanto vergognatevi e chiedete scusa!

Non voglio nemmeno spiegarlo o far capire chi è, o che importanza ha nella storia del Cinema per me, ma vorrei raccontarlo attraverso la sua rappresentazione più potente. Attraverso uno dei pilastri della fantascienza anni 80. Precisamente il 1985.

Fantascienza sì, ma non aspettatevi Alieni, astronavi o scene di azione mozzafiato, nulla di tutto questo. Siamo in un mondo distopico, in un anno mai specificato, in cui la burocrazia ha preso il sopravvento in qualsiasi attività dell’uomo, e dove il potere esercitato ormai in maniera folle, punisce chi prova a ribellarsi, o anche solo i pochi che provano a sognare.

Sam Lowry è un umile impiegato del Ministero dell’Informazione, un sognatore ad occhi aperti, dove immagina se stesso con un armatura alata, salvare una ragazza misteriosa. Un giorno a Sam viene dato l’incarico di correggere un errore di stampa di un file causato da un insetto incastrato in una stampante. Errore che ha causato arresto, processo e morte accidentale di Archibald Buttle, un innocente scambiato per il vero responsabile e terrorista Archibald “Harry” Tuttle. Quando Sam si trova a casa della vedova del signor Buttle, vede una vicina di casa della signora, una ragazza di nome Jill Layton, identica alla ragazza dei suoi sogni.

Un mondo oppressivo, fatto di vite omologate, uffici dal senso claustrofobico, spazi ridotti. Una musica ricorrente, trasmessa dalle radio e canticchiata più volte dai personaggi. Quel “Aquarela do Brasil” di Ary Barroso simbolo di evasione, a fare da contrasto nella tragicomica dissonanza che si crea tra il suo tono dolce e nostalgico e le atmosfere cupe e stranianti del film. Lo stesso Gilliam dichiarò di aver partorito l’idea trovandosi in una spiaggia di Port Talbot in Galles:

«Port Talbot è una città d’acciaio, con una grigia polvere di metallo ovunque. Perfino la spiaggia ne è completamente ricoperta ed è nera. Il sole era al tramonto, era piuttosto bello. Il contrasto era straordinario. Mi balzò in mente l’immagine di un tipo seduto su questa spiaggia squallida con una radio portatile, che trasmetteva strane canzoni di evasione sudamericane, come Brazil. In qualche modo la musica lo trasportava e rendeva il mondo attorno a lui meno grigio.»

Visivamente straordinario, soprattutto nelle rappresentazioni sognanti di Lowry. Nel complesso surreale, grottesco, tragico, romantico e psichedelico. Terry Gilliam racconta un futuro perfetto da incubo, attraverso una storia d’amore denuncia ogni forma di dittatura, ogni forma di potere che se usato in maniera folle riesce a rendere le persone praticamente incapaci di ragionare, e indifferenti alla morte che li circonda.

La forma visionaria del Cinema di Terry Gilliam, è tra quelle che amo di più, tra quelle che si colloca in quella meraviglia chiamata Arte! Un finale onirico, oltre che inquietante e privo di speranza, lascia allo spettatore un senso di riflessione molto chiaro, un contrasto di emozioni fortissimo in una realtà che oggi ci sembra molto poco surreale. Dove però, nulla e nessuno può continuare a farci sognare ad occhi aperti, anche solo intonando una canzone.

Se non si era capito, tutto questo e non solo, è Brazil di Terry Gilliam. Un capolavoro.

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