Ogni anno, il 25 novembre ci invita a fermarci e riflettere. A ricordare che la violenza non è fatta solo di gesti, ma anche di parole: frasi che sminuiscono, toni che umiliano, silenzi che escludono, comincia spesso dove finisce il rispetto.
Le parole sono strumenti potenti: possono creare ponti o scavare distanze, usate con rabbia o superficialità, diventano lame sottili che feriscono. Espressioni che pesano anche quando non gridano: “sei esagerata”, “sei fragile”, “non vali abbastanza”. Frasi che si insinuano nella quotidianità e, goccia dopo goccia, logorano la fiducia, spengono la libertà di essere sé stesse. A volte basta una parola detta con leggerezza per lasciare un segno che dura anni. Riconoscerle e fermarle è il primo passo per cambiare la cultura che le alimenta.
Scriverle, talvolta, significa restituire valore al linguaggio, scegliere di ascoltarlo e trasformarlo. Nel momento in cui affidiamo i nostri pensieri al foglio, smettono di essere ferite e diventano voce: la voce di chi trova il coraggio di nominare ciò che prova. Ogni segno tracciato a mano diventa un atto di liberazione. Chi rilegge quelle righe, spesso si accorge di quanto pesino davvero. È lì nasce la consapevolezza: nel silenzio che segue, nel bisogno di trovare parole nuove, più gentili, più vere.
Perché il linguaggio può anche curare, ricostruire, avvicinare. Espressioni come “ti capisco”, “ci sono”, “puoi farcela”, “non sei sola” restituiscono dignità e ascolto, aprono alla fiducia e al dialogo.
Parlare di violenza significa parlare anche di educazione. Fin da piccoli impariamo a comunicare prima ancora di agire, eppure spesso ne sottovalutiamo la forza. Insegnare ai bambini, ma anche agli adulti, a usare parole rispettose è una forma di prevenzione. Il rispetto si costruisce anche così: scegliendo come dire, non solo cosa dire.
Rieducare alla parola, scritta e parlata, significa educare all’empatia e al rispetto reciproco. Perché la violenza non comincia con un colpo, ma spesso con una frase sbagliata.
E se il linguaggio può ferire, può anche curare: diventare un ponte, una carezza, un inizio di cambiamento.
Paola Forte


