L’imperatore Qin Shihuang
La notizia del crollo della Muraglia non impiegò che un respiro a raggiungere la corte imperiale: correva veloce come il vento impetuoso che scuote le bandiere della guerra. Qin Shihuang, il sovrano che credeva di dominare il cielo e la terra, udì che le sue pietre immortali si erano sgretolate non per il colpo di un ariete, ma per il lamento di una donna. Turbato e incredulo, abbandonò gli arazzi dorati della sua reggia di Xi’an e cavalcò fino ai confini del mondo, là dove il dolore aveva scosso persino le fondamenta dell’Impero.
Voleva vedere con i propri occhi colei che aveva osato l’impossibile. Quando incontrò Meng Jiang Nü, rimase travolto. Non era soltanto la sua bellezza a incantare, ma la fierezza nel portamento, il dolore che non piegava lo sguardo, la luce che bruciava silenziosa nei suoi occhi come brace viva sotto la cenere. Era come se il vento stesso si fosse fatto carne e cuore.
Affascinato, colpito dalla sua dignità e dalla forza che sfidava la corona, l’Imperatore le porse la sua proposta: diventare la sua consorte prediletta. Le promise palazzi di giada, onori senza misura, il trono accanto al suo.
Ma l’amore che aveva mosso montagne non cercava corone e il destino aveva ancora da scrivere la sua pagina più audace. L’anima di Meng Jiang Nü non poteva essere posseduta. Apparteneva già a un altro, a un amore che aveva scavato più in profondità di qualsiasi muraglia. Il suo cuore, fedele a Fan Qiliang, aveva amato con una tale intensità da non poter accettare la mano di colui che aveva innalzato un trono sul dolore, costruendo potere sopra i corpi piegati e le speranze infrante.
Eppure, pur trattenendo le lacrime, accettò l’offerta dell’Imperatore. Non per ambizione. Non per gloria. Ma per un patto sacro.
Pose tre condizioni: che il corpo di Fan fosse ritrovato, che il suo nome fosse celebrato come quello di un eroe, e che le fosse concesso toccare l’oceano, là dove il cielo abbraccia la terra. Qin Shihuang, colpito dalla fierezza e dalla purezza di quel cuore indomito, non seppe opporsi: ordinò che ogni desiderio fosse esaudito con solenne urgenza.
Il corpo fu ritrovato, sottratto alle pietre, lavato dal silenzio. Il suo nome fu inciso nei templi e cantato dal popolo e le porte delle città furono dischiuse per lei, la donna che aveva fatto tremare gli imperi con un pianto.
Meng Jiang Nü raggiunse il mare. Salì su un’alta scogliera dove l’oceano urlava e sussurrava, e il vento intrecciava antiche melodie attorno alle sue guance. Guardò l’orizzonte, infinito e silenzioso, con gli occhi colmi di ricordi, di dolore, di amore eterno. Sorrise, non con gioia, ma con la pace di chi ha concluso il viaggio: “Ti ho ritrovato” sussurrò, e quel sussurro sembrò fondersi con le onde.
Poi, senza esitazione, si lasciò andare.
Il mare la avvolse come un amante paziente. La prese tra le sue braccia salate, portandola via, lontano dal mondo degli uomini. Dicono che in quel momento il cielo si schiarì, e che le acque si placarono, come se anche la natura si fosse inchinata all’ultima pagina di una leggenda.
Meng Jiang Nü non morì. Si fuse con il mare. Divenne eterna.
Perché là dove le promesse non conoscono fine, l’amore non muore. Vive. Respira. E vibra per sempre, come la storia che porta il suo nome.
Il simbolo della caducità del potere
L’Imperatore tornò a Xi’an, ma non con la gloria che si era atteso. Aveva cavalcato per dominare il cuore di una donna, ma era stato sconfitto dalla grandezza di un amore che nessuna corona poteva contenere. Il popolo, che aveva assistito in silenzio, iniziò a raccontare. Le lacrime di Meng Jiang Nü divennero canto, le pietre cadute divennero simbolo.
Nel corso dei secoli, quella storia attraversò dinastie e rivoluzioni, superando l’oblio che spesso inghiotte gli umili. Le cronache, per quanto reticenti, non poterono ignorare l’eco di quell’evento: un crollo localizzato della Grande Muraglia avvenuto, secondo la leggenda, nella zona di Shanhaiguan, dove oggi sorge il tempio commemorativo di Meng Jiang Nü a Qinhuangdao, la cui vicenda rappresenta non solo la potenza dell’amore, ma anche la ribellione del cuore umano contro l’oppressione, emblema di amore incrollabile, pietà profonda e coraggiosa resistenza contro l’autorità inutile.
Il Tempio di Meng Jiang Nü è visitato ogni anno da migliaia di persone, che si fermano davanti alla statua di pietra che la raffigura sul promontorio, con lo sguardo rivolto verso il mare, costruito non come celebrazione di potere, ma come monito della sua fragilità. È lì che, si dice, lei scomparve tra le onde, lasciando dietro di sé non solo la leggenda, ma anche un monito per i secoli futuri. La Grande Muraglia, che una volta divideva e difendeva confini, oggi non delimita più nulla. Le sue pietre non proteggono, non separano: sono testimoni di una storia sanguinosa che per due volte, con spargimento di sangue e violenza inaudite, la ha vista inutile barriera. Ma la sua crepa più celebre è nata non dal ferro o dal fuoco, bensì da una lacrima e così, in Cina, ancora oggi si tramanda:
“Il muro può proteggere un impero, ma non può fermare il pianto di chi ama.”
Così, la leggenda di Meng Jiang Nü è tra i quattro racconti più celebri della tradizione cinese, tramandato per generazioni come un canto che sfida l’oblio e sopravvive al tempo come la muraglia stessa: non come roccaforte dell’impero, ma come simbolo eterno dell’amore che nessun confine può contenere, e della voce che, attraverso le acque ed il vento, continua a farsi sentire.
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Riccardo Agresti


