5 Dicembre, 2025
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L’impotenza del potere: l’amore che sfidò l’imperatore (parte 1 di 2)

L’amore fra Meng Jiang Nü e Fan Qiliang

Ci fu un’epoca remota in cui prendeva forma il millenario impero cinese. In un villaggio silenzioso, immerso nel profumo delicato dei gelsomini, incastonato tra le dolci colline dell’entroterra, viveva una giovane donna di nome Meng Jiang Nü. Figlia di un giardiniere e di una musicista, aveva ereditato da loro un cuore puro, occhi limpidi come il cielo d’autunno e un sorriso capace di far sbocciare i fiori al suo passaggio.

Una mattina di primavera, mentre raccoglieva con grazia le foglie di tè nel tepore del sole, incrociò lo sguardo di Fan Qiliang, un giovane dal cuore gentile e dagli occhi colmi di sogni. Il loro incontro avvenne per caso… o forse fu scritto dalle stelle. Bastò un solo sguardo perché le loro anime si riconoscessero e i loro destini si intrecciassero.

Il loro amore fiorì rapido e intenso, come un campo di peonie accarezzato dal vento primaverile. Si unirono in matrimonio sotto un cielo che sembrava benedire la loro unione con una pioggia lieve e dorata. Ma la gioia fu effimera, e la festa si spense bruscamente.

Il decreto era giunto all’alba, come una sentenza scolpita nel vento. Qin Shihuang, l’imperatore che sognava di eternare il proprio nome nella pietra, aveva ordinato la costruzione della Grande Muraglia. Nessuno poteva sfuggire all’eco del comando: villaggi interi furono svuotati, uomini strappati ai campi, alle famiglie, ai sogni.

Durante la festa, mentre le lanterne galleggiavano nel cielo e le risate coprivano il rumore del mondo, Fan fu catturato insieme ad altri uomini. Le sue mani, che fino a poco prima stringevano quelle dell’amata, furono avvolte dalle corde della leva imperiale. Tra le urla e le lacrime, riuscì solo a gridarle una promessa: tornare al più presto, per far fiorire quell’amore che nemmeno l’ombra della guerra avrebbe potuto appassire. Tornare prima che il tempo cancellasse i colori del suo volto, prima che l’amore si trasformasse in memoria.

Non sapeva che quella notte, alle porte del destino, aveva già cominciato a farsi leggenda.

 

La Grande Muraglia

Il tempo scivolava via, inesorabile, come sabbia fra le mani degli dèi. Meng Jiang Nü vegliava ogni alba e ogni crepuscolo, nutrendo l’attesa con la sola forza del cuore, aggrappata alla promessa di Fan: tornare, contro ogni avversità. Ma i giorni diventavano mesi, e dal confine del mondo non giungeva alcun segno. Lei lo sapeva: il tepore profumato della sua terra non poteva raggiungere le distese gelide e battute dal vento, dove Fan scolpiva pietre per la Grande Muraglia, prigioniero dell’ambizione imperiale.

Così, con le dita che sapevano parlare il linguaggio silenzioso dell’amore, Meng Jiang Nü cucì abiti caldi per lui. Punto dopo punto, tessé un mantello per l’inverno, ogni filo intriso di speranza, ogni nodo una preghiera. Salutò i genitori con le lacrime nel cuore, ma lo sguardo fiero, e partì. Inseguì le orme del suo amore incompiuto, sfidando le intemperie e il destino. Non era una donna addestrata al viaggio, né una guerriera: ma nell’anima portava una forza antica, quella che solo l’amore conosce.

Il cammino divenne leggenda. Sfidò l’impossibile: il sole rovente che bruciava la pelle, le nevi che le gelavano le ossa, le montagne che le chiedevano dove pretendesse di andare, i deserti che le sussurravano la resa, i fiumi che le negavano il passo. Eppure, notte dopo notte, nel silenzio dei suoi rifugi improvvisati, stringeva il mantello cucito per Fan. Sperava che, oltre le distanze e le pietre, quel calore potesse trovarlo, proteggerlo, tenerlo in vita.

Perché l’amore, quando è puro, non conosce confini. Né tempo. Né imperi.

Dopo mille chilometri di speranza e fatica, Meng Jiang Nü raggiunse infine la Grande Muraglia. La vide levarsi all’orizzonte come una creatura titanica, immobile, austera, distesa lungo le terre come un serpente di pietra che divorava il cielo. Avanzò con lo sguardo smarrito e il cuore teso, cercando tra le fessure del destino un segno del suo amato. Giorni interi domandò ai soldati impassibili, agli operai dal volto scavato, ai viandanti frettolosi. Nessuno sapeva. Nessuno ricordava. Poi, d’un tratto, arrivò la verità. Nuda. Gelida. Tagliente come il vento d’inverno.

Fan era morto.

Il nome le colpì il petto come una lama. Fan, sepolto tra le pietre che lui stesso aveva posato, consumato dal gelo, dalla fatica, dal silenzio. Non un addio. Non una carezza. Solo la polvere degli imperi.

Meng Jiang Nü, che aveva sfidato ogni confine, ogni intemperia, ogni limite umano, si accasciò. Le ginocchia cedettero come colonne spezzate; il dolore le esplose dentro, impetuoso come un fiume in piena. Le sue grida lacerarono il vento. Pianse. Pianse senza respiro, per tre giorni e tre notti, abbracciando quel mantello che non aveva mai potuto consegnare, come se ancora potesse scaldare un corpo ormai dissolto.

Le sue lacrime, limpide e disperate, non caddero invano. Salirono al cielo con la forza di un’anima spezzata, e il cielo… il cielo ascoltò. La Muraglia, bastione dell’arroganza imperiale, tremò. Una lunga sezione si frantumò, come se il peso dell’amore perduto fosse troppo anche per la pietra. L’eco della distruzione attraversò le valli come un grido sacro.

Perché il pianto di Meng Jiang Nü non era solo dolore. Era la voce di ciò che nessun imperatore può dominare. La voce di un amore eterno, che non conosce confini, né tempo, né morte.

 

Per leggere la seconda ed ultima parte

 

Riccardo Agresti

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