Giovedì 30 ottobre, il Cinema Palma di Trevignano Romano ha ospitato il ritorno in sala del capolavoro del regista statunitense. A 110 anni dalla sua nascita, nonché 40 dalla sua morte, Welles con il suo Quarto potere continua a far parlare di sé, soprattutto in un’epoca nella quale l’informazione più che mai esercita un ruolo fondamentale.
Cosa dire che non sia già stato detto su “Quarto potere”? Uscito nelle sale nel 1941, esordio alla regia di un 26enne Orson Welles, non ricevette l’acclamazione che le fu poi consegnata dalla storia. In effetti al botteghino fu un vero e proprio flop. La trama di per sé non è difficile: un viaggio nei ricordi e nella vita di Charles Foster Kane, magnate americano, quasi un Donald Trump ante litteram, di cui lo spettatore sarà in grado di ripercorrere ascesa e declino.
Declino che finisce solo con la morte del protagonista, che spirerà pronunciando la parola al centro della successiva ricerca riguardo la propria origine: Rosebud. Proprio per ricercare il senso di tale termine, il giornalista Thompson si incarica di incontrare tutte le persone che più sono state vicine a Kane, per estrapolare il senso di quelle 7 lettere così misteriose.
La sceneggiatura è però solo uno dei motivi per il quale la pellicola è stata così celebrata. Questo perché tutto il film segna una rivoluzione fondamentale nel mondo cinematografico: la scelta di far partire il film con quella che in realtà sarebbe la fine (seguendo il naturale ordine degli eventi), l’idea della profondità di campo nata dal direttore della fotografia Gregg Toland, il fatto di non conoscere infine quale sia la verità.
Insomma, come detto da Guido Barlozzetti, giornalista nonché conduttore di programmi Rai, il quale è intervenuto insieme alla dottoranda alla Sapienza Martina Ventura, il film sembrerebbe lasciarci soltanto un’illusione.
Un’illusione di del quale il pubblico si accorge solo alla fine, quando realizza, oltre al fatto di non sapere cosa significasse quel tanto declamato Rosebud, che anche la vita di Charles Foster Kane non è altro che una montagna di ricordi, accumulati per nessun altro che non sia se stesso, e che al momento della morte cessa di avere un significato.
Davide Catena, redattore L’agone


