7 Dicembre, 2025
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GUERRA E AMBIENTE

Le guerre da sempre sono state strumento di risoluzione di conflitti che nascono per la difesa di interessi economici costituiti, e per l’aspirazione a conquistare maggiori spazi di mercato.

Sono uno strumento essenziale e “regolatorio” nell’attuale sistema economico (capitalistico), che oggi sta affrontando una profondissima crisi “evolutiva”: da un lato il ruolo sempre più determinante delle economia orientali che tendono a modificare fortemente gli equilibri con l’invasione di prodotti tecnologicamente avanzati e a prezzi più bassi; dall’altro lato il precipitare della crisi climatica che mette sotto accusa la crescita continua di una parte di Paesi del mondo basata sull’energia fossile e sullo sfruttamento sempre più massiccio e devastante di risorse naturali (estrattivismo). Parallelamente, le politiche dei Paesi detentori delle riserve mondiali di idrocarburi e carbone si oppongono alla transizione (ecologica) per superare l’era dei fossili: gli USA che di fatto sono i maggiori detentori mondiali di questa risorsa, e la Russia, oltre ai Paesi mediorientali.

Oggi siamo nel mezzo di una guerra totale, combattuta con le armi dell’economia e della finanza e con quelle più “visibili” di bombe, missili, droni e carri armati, e con la rapida avanzata di strumenti informatici sempre più potenti; viviamo una transizione che vede lo sgretolamento dei precedenti equilibri globali – peraltro basati sul dominio dei più forti sui più deboli –  ed il prevalere di differenti nazionalismi: da quello di stampo neoimperialista americano a quelli di singoli Stati che rischiano, forse inconsapevolmente, di rimanere schiacciati, alcuni forse pensando di salvarsi perseguendo nuove politiche colonialiste e accodandosi alla corte del più prepotente.

Tutto avviene senza il minimo rispetto della dignità umana, soggiogando popoli ed economie, distruggendo esseri viventi e cose, radendo al suolo edifici e tutto quello che c’è dentro in un mix cinico e terrificante di macerie e corpi straziati, inquinando aria, acqua e suolo, devastando interi territori, scaricando nell’atmosfera quantità enormi di anidride carbonica, rompendo l’equilibrio ecosistemico tra uomo e ambiente.

E’ questo lo sviluppo che ci vorrebbero imporre, con una sterzata di 180 gradi rispetto alla direzione – che peraltro potremmo definire “moderata” – indicata decenni fa dalla conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente (Rio, 1992): trovare un equilibrio tra sviluppo economico, giustizia sociale e tutela dell’ambiente; affrontare problemi globali come il cambiamento climatico, la deforestazione, la perdita di biodiversità e il consumo eccessivo di risorse naturali; promuovere la cooperazione internazionale per uno sviluppo sostenibile.

Una grande marcia indietro anche rispetto alle decisioni assunte 10 anni fa alla COP21 di Parigi (ventunesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), peraltro mai prese in seria considerazione: limitare a 1,5 °C l’aumento della temperatura globale rispetto ai livelli preindustriali; raggiungere la neutralità climatica (zero emissioni nette di CO2) nella seconda metà del secolo; aumentare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici; impegnare risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella transizione ecologica (almeno 100 miliardi di dollari l’anno).

La crisi ambientale è allo stesso tempo causa e vittima di conflitti, per le conseguenze dirette sull’Ambiente ma molto più per le conseguenze negative sulle politiche di tutela dell’ecosistema: in Europa, le pur flebili ed insufficienti iniziative verso la transizione ecologica hanno virato decisamente verso la transizione bellica, spostando sul settore degli armamenti le risorse destinate a fini sociali.

La risposta alla crisi del capitalismo, che per la propria sopravvivenza si avvale dei sistemi militari – che accentuano essi stessi gli sconvolgimenti climatici – non può che essere una trasformazione profonda del modello di sviluppo e l’avvio della transizione verso un nuovo assetto che superi l’organizzazione nata con la rivoluzione industriale del ‘700 e consolidatisi nel secolo scorso: un intreccio fra lotta per il potere economico, neocolonialismo predatorio per l’accaparramento delle risorse naturali, assoggettamento di ambiente e salute delle persone agli interessi economico industriali, e affermazione di tutto ciò con la forza delle armi.

Serve una “riconversione ecologica”, intesa come trasformazione profonda della società, che investe l’economia, l’assetto sociale, la democrazia, i diritti e, ovviamente, l’ambiente.

Innanzitutto occorre contrastare la crisi climatica, responsabile di ingiustizie, diseguaglianze, guerre: vuol dire superare l’era dei fossili (carbone, petrolio e gas) e della combustione e passare all’efficienza energetica e alle rinnovabili con conseguente lotta alla povertà energetica, garantendo il diritto all’uso dell’elettricità per tutti e a basso costo:

l’energia distribuita, principalmente quella del sole e da qui l’idrogeno, vuol dire democrazia, perché il sole è di tutti mentre petrolio e fossili sono di pochi che si arricchiscono sempre di più” (Rifkin).

Occorre poi superare l’attuale assetto del sistema economico e industriale, oggi tutto basato sul consumismo dissennato e insostenibile e sullo spreco, implementando il modello di “economia circolare”: cioè rivoluzionare processi produttivi e prodotti, sostenere nuovi stili di vita, limitare l’uso delle risorse naturali affermando la cultura del “non spreco”, puntare a riuso e riciclo di oggetti e materiali, con strategia rifiuti zero.

Occorre inoltre affermare il primato del bene collettivo sugli interessi privati, semplicemente guardando la nostra Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute e all’ambiente” (art. 41); e “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” (art. 9).

Significa dare il giusto peso ai Beni comuni – non beni “pubblici”, ma proprietà di ciascun individuo (Rodotà) – e pertanto non governati dalle regole del mercato per generare profitto; sono l’insieme di risorse materiali e immateriali utilizzate da tutti, quindi un patrimonio collettivo dell’umanità che mettono insieme diritti (sanità, educazione, lavoro), e un’idea di democrazia molto più partecipata per la fruizione di beni e servizi essenziali, «come già ipotizzava Gramsci ragionando sull’esperienza consiliare (i consigli di fabbrica)»: quindi deve coinvolgere i cittadini, perchè siano consapevoli, e soprattutto attori, del cambiamento.

Comprendere l’intreccio fra guerra ed ecosistema ci indica la via da seguire per giungere alla pace, vera e duratura, che non è semplicemente il silenzio delle armi, ma – situazione enormemente più grande – affermazione del binomio (inscindibile) giustizia sociale/giustizia climatica.

E’ questo il senso della “Riconversione ecologica”, una trasformazione profonda che investe economia, assetto sociale, democrazia, diritti, dove tutti questi elementi sono interconnessi e accomunati nel “campo” dell’ecosistema da preservare.

E’ anche l’affermazione di una nuova visione internazionalista, quantomai essenziale in questi nostri tempi.

Giuseppe Girardi

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