Una mattinata importante, quella del 4 giugno, per i ragazzi dell’IC Marina di Cerveteri, che hanno avuto la possibilità di incontrare e ascoltare la testimonianza di Angelo Corbo, oggi ispettore capo in pensione, che quel 23 maggio 1992 faceva parte della scorta del giudice Giovanni Falcone. Ad accoglierlo la sindaca di Cerveteri, Elena Gubetti, che come ha tenuto a specificare emozionata, ha voluto indossare la fascia tricolore con l’intenzione di rappresentare tutta la cittadina cerite.
A fianco a lei il presidente del consiglio comunale e l’assessore alla pubblica istruzione Federica Battafarano, accolti dalla preside Angela Esposito e dalla prof.ssa Manuela Cito, dalla quale è nata l’idea di organizzare l’incontro. L’iniziativa è stata promossa dall’associazione Libera, rappresentata in questo consesso da Jenny Marciano che, in alcune dichiarazioni rilasciate a L’agone presente, ha affermato: “abbiamo scelto la scuola media per questo incontro perché i ragazzi hanno un’età adesso per comprendere, comprendere cosa vuol dire fare memoria e da questa far nascere un impegno che li possa aiutare a migliorare la propria generazione.
Ci aspettiamo da questi ragazzi un futuro migliore, perché loro sono la generazione del domani. Ci tengo particolarmente a ringraziare, a nome dell’associazione Libera, la professoressa Manuela Cito, che è stata la forza propulsiva di questo progetto; senza di lei tutto questo oggi non sarebbe stato possibile”.

La palestra che ha ospitato l’iniziativa era gremita di studenti, che con grande attenzione e rispetto hanno ascoltato, posto domande, manifestato curiosità. Forse molti di loro avevano già letto o sentito parlare della strage di Capaci, ma sicuramente non avevano avuto modo, prima della mattina del 4, di potersi avvicinare così tanto a quel 23 maggio da poterne percepire gli odori, i rumori, le sensazioni.
Questo è stato possibile solo sentendo le parole di chi quegli odori e quei suoni li ha sentiti davvero, e che da ormai diversi anni trova nei ragazzi la forza di raccontare quello che è successo per poterlo in qualche modo anestetizzare. “Ho scoperto con il tempo”, ha sostenuto Corbo, “che parlare ai giovani nelle scuole era la mia cura, la medicina più efficace”. Un racconto autentico, toccante, che è stato disegnato proprio dagli stessi ragazzi: l’ex poliziotto, pluridecorato e medaglia d’oro al Valor Civile, ha chiesto loro di rompere il ghiaccio, di porre tutte le domande che avessero ritenuto opportune, di scandagliare gli aspetti che più li incuriosivano.
L’intenzione di Angelo Corbo non era quella di costruire un monologo freddo e formale, ma di riuscire armoniosamente a creare un dialogo partecipato, in cui le parole si fossero fuse con l’emozione, con i ricordi, con una ferita che probabilmente non potrà mai essere cauterizzata. Ha ripercorso la sua vita, ha spiegato con grandissima commozione il momento in cui, appena ragazzo, ha scelto di dedicare la sua vita a qualcosa che è molto più di un mestiere: essere poliziotto, per Corbo, era, ed è stata, la concretizzazione di un’ideale, così forte che non gli ha mai permesso di vedere la paura come freno impeditivo, ma come motore razionale, in grado a volte, di salvare la vita. Ha infatti affermato, in una brevissima intervista lasciata a L’agone: “ho sempre pensato che la paura sia un fattore umano, quindi non credo esistano persone che possono dire apertamente e sinceramente di non avere paura.

Noi che facevamo quel tipo di servizio avevamo imparato a conviverci, ogni giorno ci accompagnava, sapevamo di proteggere un morto che camminava. E’ chiaro che quella paura, che fino a quel momento era stata gestita e controllata, dopo l’attentato del 1992 è cresciuta esponenzialmente. Se prima, in una scala da zero a dieci era pari a sei, dopo quel momento è inevitabilmente finita fuori scala. Sono fermamente convinto, però, che sia un bene che ci sia la paura, perché è quell’atteggiamento che ti fa fare quel passo indietro che spesso ti salva la vita”.
Ha concluso il suo intervento ricordando ai presenti di aver capito, con la sua terribile esperienza, che la mafia non ha paura dei poliziotti, dei magistrati, della legge, ma degli insegnanti e della scuola, perché proprio a scuola si impara ad essere liberi.
Ludovica Di Pietrantonio


