Alda Merini, una donna che fu oggetto di scherno e di denigrazione a causa di un disturbo psichiatrico che ne colpì il comportamento e l’umore: a volte si presentava iperattiva, spregiudicata, sofferente d’idee deliranti o di un incontrollabile desiderio sessuale, a volte mostrava comportamenti depressivi caratterizzati da stanchezza, isolamento, problemi di memoria, pensieri o tentativi di suicidio. Eppure Alda Merini (1931- 2009), scrittrice e poetessa non perse mai la sua personalità di donna forte e passionale, né il suo spirito di donna indipendente, né il particolare talento con cui seppe imprimere nella poesia il suo tumulto interiore. Rappresentò così bene nei suoi scritti, nelle poesie, negli aforismi il bisogno d’amore di ogni donna e lo rese tangibile; ruppe con le convenzioni sociali sgombrando il campo dai pregiudizi sulla nudità, sulle convenzioni che ancora oggi costringono a coprire un corpo grasso perché giudicato “brutto”.
Andrebbe vista come un’illustre pioniera del “body shaming”, termine coniato nell’ultimo quindicennio, da un gruppo di donne “oversize” che rivendicavano il rispetto verso il loro aspetto fisico senza dover subire commenti offensivi e sarcastici. Nessuno dovrebbe “vergognarsi del proprio corpo”. Lei ebbe il coraggio di “mettersi a nudo”, sfidando la “norma”, che voleva e vuole vedere solo corpi belli, ispirati alla perfezione della magrezza, della proporzione, della giovane età.
Sotto questa foto che la ritraeva, già ultrasessantenne, a seno nudo, fece scrivere: “Questa foto non pretende di richiamare innamorati. È un dito in un occhio”. Poi aggiunse:
“Sono stata io a voler essere fotografata nuda. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto. È l’imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Il mio è stato un gesto di provocazione, e anche di profondo dolore: in manicomio ci spogliavano come fossimo cose. Mi sento nuda ancora adesso”.
Dalle opere della poetessa che, paradossalmente, non fu ammessa al liceo per non aver superato la prova di italiano, emerge come la sua saggezza non sia stata scalfita dagli innumerevoli ricoveri in ospedali psichiatrici, dove era internata quando diventava ingestibile e aggressiva.
Per molto tempo si è ritenuto che nella persona che manifestava una vena di follia si nascondesse sempre un genio, una persona creativa, ma oggi è certo che follia e genialità sono due termini che non vanno di pari passo. É comunque vero che artisti dalla grande vena creativa come Caravaggio, Michelangelo, Vincent Van Gogh o uomini capaci di cambiare il corso della storia come Napoleone, Winston Churchill ma anche scrittori di livello come Tolstoj, Virginia Woolf e Mark Twain, soffrivano con gravità diversa, del disturbo bipolare da cui era affetta la stessa Alda Merini. La poesia fu la sua medicina ma lei sarebbe stata grande anche senza il disturbo bipolare. Era una giovane mamma negli anni 50-60 e soffriva molto perché veniva picchiata dal marito quando lui era ubriaco, ma lei lo amava e si crogiolava nell’illusione che lui cambiasse. Era vittima di violenza domestica e fu ricoverata per la prima volta in manicomio perché durante una lite con il marito, rientrato ubriaco dopo aver speso tutti i soldi, gli tirò una sedia in testa facendolo finire all’ospedale. Ebbe due mariti e quattro figlie. Le prime due furono cresciute da famiglie affidatarie, dopo che un’assistente sociale, trovando che la casa non era ordinata gliele portò via. Vittima anche delle convenzioni sociali perché oggi esistono tante disordinate perenni ma quelli erano anni in cui chi si comportava in un modo che usciva dalle regole rischiava l’intervento dell’ambulanza e “la camicia di forza”. Lei stessa, che rimase in manicomio per circa 12 anni, scanditi da brevi e intermittenti uscite, si definì “la donna con il manicomio dentro”. Eppure, lei, considerata folle, con pochi lucidi tratti ancora ci fa vedere, sentire, odorare, ascoltare, gustare, toccare l’emozione generata dall’amore.
“Mi piace il verbo sentire…”
“Mi piace il verbo sentire…
Sentire il rumore del mare, sentirne l’odore.
Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra, sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco.
Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore.
Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente.”
Alda Merini, la poetessa dei Navigli, è stata una “Donna Donna” che ha saputo sopravvivere alla sofferenza del manicomio e ha voluto raggiungere il cuore degli uomini suggerendo loro come comprenderci
“Ci sono donne…
E poi ci sono le Donne Donne…
E quelle non devi provare a capirle,
perché sarebbe una battaglia persa in partenza.
Le devi prendere e basta.
Devi prenderle e baciarle, e non devi dare loro il tempo di pensare.
Devi spazzare via con un abbraccio
che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto.
A bassa, bassissima voce. Perché si vergognano delle proprie debolezze e, dopo averle raccontate si tormentano – in una agonia lenta e silenziosa – al pensiero che, scoprendo il fianco, e mostrandosi umane e fragili e
bisognose per un piccolo fottutissimo attimo,
vedranno le tue spalle voltarsi ed i tuoi passi
allontanarsi.
Perciò prendile e amale. Amale vestite, che a
spogliarsi son brave tutte.
Amale indifese e senza trucco, perché non sai
quanto gli occhi di una donna possono trovare
scudo dietro un velo di mascara.
Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia.
Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a sé stesse.
Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro”.
Adorabile Merini che se ne andò portando con sé un pacchetto di sigarette, il cappello di paglia, la foto del marito e 20 euro nel reggiseno.
Anna Maria Onelli
Redattore dell’agone