17 Maggio, 2024
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Lee and me, quando “certi fatti” vengono raccontati sul grande schermo

Un “incrocio” di violenze che servono per farci ragionare

Dal 25 novembre sulla piattaforma Amazon Prime Video e Google Play è disponibile il documentario del regista e sceneggiatore Alessandro Garilli Lee and me. L’opera della Minerva Picture e prodotta da Angelika Vision è strutturata come una graphic novel in bianco e nero (i disegni emblematici sono firmati da Michele e Federico Penche) in cui due storie di violenza (subita in un caso e inferta nell’altro) distanti molto tra loro sia dalla prospettiva dello spazio sia da quella temporale, si incontrano in un punto di contatto doloroso che nel documentario è simbolicamente rappresentato – nella messa in scena – con lo scambio narrativo che caratterizza tutta l’opera.  Lee and me è un viaggio nella vita di una donna americana, Lee Miller nota modella, fotografa e fotoreporter del Novecento simbolo femminile di indipendenza ed emancipazione che ha subito una violenza e di un uomo, Sami, originario del Kosovo che nella sua permanenza in Italia ha commesso un abuso.

Si è scelta proprio questa giornata, per la messa in onda del docufilm, che dal 1999 – istituita dall’ONU – è diventata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

All’opera di Garilli prendono parte Alice Lamanna (attrice) e Maria Rita Parsi (psicoterapeuta, saggista, docente e scrittrice) che intermezza la narrazione restituendo una prospettiva data dall’aspetto psicologico di certe dinamiche legate alla violenza – complessiva e a quella di genere nello specifico – a cui hanno dato un plus le interviste di Cristina Matranga direttore generale Asl Roma 4, Fabiola Elia Esperto Ex Art. 80, psicologa e psicoterapeuta, Lucia Lolli dirigente liceo Vian di Bracciano e il criminologo forense investigatore Gianluca Di Pietrantonio. La messa in onda sulla famosa piattaforma è stata preceduta da due eventi importanti: uno proprio il 25 novembre e proprio nella casa circondariale di Velletri dove è stata girata tutta la parte con la voce narrante dei detenuti che hanno commesso abusi (sex offender) e la presentazione in anteprima stampa il 20 novembre al cinema Eden di piazza Cola di Rienzo a Roma alla quale hanno preso parte con interventi il cast tecnico, artistico, scientifico e le istituzioni. All’unanimità gli interventi moderati da Marika Campeti, seppur da punti di vista diversi, vertevano sulla differenza che può fare la scuola e la capacità intrinseca in essa di educare i giovani fin dalla scuola primaria per un cambiamento della forma mentis che deve essere focalizzata sul rispetto dell’altro; l’importanza del fare rete e connessione tra realtà diverse e l’importanza della capacità di ascolto dell’altro

Maria Rita Parsi, in questo incontro, ha spiegato alcuni meccanismi attraverso i simboli della vita e della morte e ha parlato del necessario controllo sull’inconscio e dell’importanza del conoscere sé stessi. Claudio Zamarion, produttore con Angelika Vision e direttore della fotografia dell’opera, nel suo intervento ha ringraziato tutti gli artisti, i tecnici e chi ha partecipato in ogni forma e chi ha permesso il film tra cui il MiC, la Regione Lazio (Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo), Tutto per amore Ugo Giorgio Bademer onlus e l’associazione culturale L’agone nuovo, il sindaco di Canale Monterano che ha patrocinato l’opera e la Fondazione Conad.

Il regista ha sottolineato: «…la violenza sessuale, lo stupro non ha limiti temporali, spaziali, geopolitici, di età, non ha limiti di ceto sociale, relazionali e culturali. Si propaga all’interno di culture diverse… Come mai è senza confini questa terra desolata della violenza sulle donne? Io temo che abbia a che vedere con il discorso per cui manca una presa di coscienza maschile reale e forte di questo. C’è la negazione, il più delle volte, da parte dei sex offenders…ai miei occhi mancava una figura maschile che fosse realmente pentita, che avesse preso coscienza dell’errore fatto, che volesse chiedere davvero scusa e che anelasse al perdono. Questa per me era la conditio sine qua non per affrontare questo lavoro di Lee and me. Mi sembrava che come uomo raccontare un altro uomo che fosse pentito e che volesse chiedere scusa fosse come piantare un primo paletto che iniziasse a demarcare un confine in questa terra desolata, libera che è la violenza sessuale a danno delle donne».

Marzia Onorato

 

 

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