28 Aprile, 2024
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Recovery fund: è tutto sbagliato, è tutto da rifare

Così ripeteva Gino Bartali quando doveva affrontare una prova, una sfida importante: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». Sulla sfida epocale del Recovery fund rischiamo grosso: da 15 anni l’Italia ha una produttività stagnante, andamento del Pil insoddisfacente, ipertrofia della burocrazia, lentezza dei processi civili, scarsa attrattività degli investimenti esteri, immutata arretratezza del Mezzogiorno, fuga dei cervelli. Questa è forse l’ultima occasione per non scivolare in un declino irreversibile.

Purtroppo, finora gli annunci sono stati poco convincenti, perché Next Generation significa modellare il futuro, non rattoppare il passato. L’interesse primario dell’Italia è usare il Recovery fund (ricordo che è un debito!) per ottenere la massima crescita del Pil, alleviando il più possibile l’incremento del rapporto debito/Pil, con il vincolo politico dato dalla Ue per Green transition e infrastrutturazione digitale. La teoria macroeconomica insegna che il finanziamento del consumo corrente ottiene un ritorno di poco superiore (dipende dal moltiplicatore della spesa, molto basso in una economia integrata con l’estero). L’investimento in infrastrutture genera il massimo ritorno, dato dall’aumento di produttività di tutto il sistema economico.

Quindi no al contentino della riduzione fiscale e sì all’investimento strategico per il futuro. Concentrato su pochi obiettivi, perché – con metafora verde – la luce del sole che colpisce un prato fa crescere l’erba, ma se si concentra con uno specchio si ottiene energia elettrica rinnovabile. La proposta è di concentrare la strategia su quattro sole linee di intervento:

1 infrastrutture materiali
2 infrastrutturazione informatica
3 ristrutturazione del sistema sanitario
4 strumenti finanziari per il climate-change

 

1 La struttura produttiva dell’Italia è costituita da circa 610 aree (i sistemi locali del lavoro dell’Istat). La possibilità di interconnessione fra queste aree e il mercato globale rappresentano la sfida per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Ogni ritardo brucia energia, ogni miglioramento delle interconnessioni è coerente con il Green Deal europeo. Con le auto elettriche e con l’idrogeno la mobilità delle merci e delle persone del futuro sarà verde. Occorre poter contare in ogni regione su una nuova maglia di superstrade a doppia corsia, anche con infrastrutture per la distribuzione dei carburanti verdi e su linee alta velocità/alta capacità ferroviaria, con la logistica che serva da sbocco alle merci da tutta l’Italia e dai porti del Sud verso il cuore dell’Europa.

2 La infrastrutturazione informatica deve rendere ogni cittadino italiano connesso alla banda larga ovunque si trovi. Ricordo l’esperimento pioneristico e strategico dei francesi con il minitel all’inizio degli anni 80. Ogni famiglia con figli studenti deve poter avere accesso gratuito ai contenuti culturali della rete e la capacità di accedere a biblioteche, a libri online, al sistema del sapere per la crescita della sua conoscenza.

3 Il sistema sanitario ha bisogno di essere ripensato di nuovo in maniera radicale. Dal sistema mutualistico nello stato moderno italiano della legge Rattazzi del 1859, alla riforma del servizio sanitario legge 833 del 1978, siamo arrivati alla aziendalizzazione del D.lgs 502 del 1992 e successive regionalizzazioni. Era un sistema universale per una popolazione giovane, pensato nel secolo scorso per tutelare la salute del lavoratore da epidemie, febbre tifoide, colera, polmoniti etc. Con il progressivo invecchiamento della popolazione, oggi, il sistema sanitario fronteggia – anche se male, con il meccanismo dei costi standard dell’aziendalizzazione che ha burocratizzato la professione medica – le patologie croniche degli anziani, le cure day hospital e nuove forme di assistenza per la qualità della vita.
Ma il Covid ci ha riportato alle situazioni delle epidemie del secolo scorso. Il nuovo sistema sanitario deve rispondere a tre sfide: garantire la salute e dignità del cittadino, garantire l’assistenza per le malattie croniche e degenerative degli anziani, ma anche essere in grado di affrontare qualsiasi nuovo tipo di choc pandemico.

4 L’Italia deve concorrere agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per combattere i cambiamenti climatici. Sapendo che ciò comporta costi di mitigazione e costi di adattamento che ricadono in maniera diversa e in tempi diversi su soggetti diversi. In particolare, l’incertezza sui ritorni degli investimenti della transizione è particolarmente sentita e rilevante del sistema imprenditoriale.

Per questo, voglio proporre un nuovo strumento per sostenere le imprese: i “Transition bonds”. In analogia con i già noti Catastrophy bonds, questi titoli finanziano l’innovazione delle imprese con un rendimento per il sottoscrittore, ma con una clausola in caso di default: la perdita in conto capitale viene subita dal sottoscrittore invece che dall’emittente.  Qual è la giustificazione? Con lo stesso entusiasmo con cui negli anni 60 i nostri padri hanno industrializzato l’Italia, negli anni 50 l’Europa ha fondato la Comunità del carbone e dell’acciaio, negli anni 90 il mondo ha lanciato la sfida tecnologica della smaterializzazione e della Information Technology, oggi, dobbiamo sostenere il green investment nelle nuove tecnologie di mitigazione e adattamento.

Il Transition bond è sostanzialmente una forma di assicurazione, perché prevede che se l’investimento non va a buon fine, non è il prenditore ma il prestatore che sopporta la perdita. Nel caso del Transition bond la garanzia è data dallo Stato, con una parte dei fondi del Recovery fund. Questo creerebbe una leva finanziaria formidabile per gli investimenti in Green transition. Gli imprenditori privati che investono in nuove tecnologie possono essere finanziati con titoli, tramite il sistema assicurativo e bancario, che sono mirati a costruire il futuro della transizione green di lunghissimo periodo. Poiché c’è incertezza sul successo di realizzazione di questi investimenti, il normale rischio imprenditoriale rimane al privato, ma se si verificano condizioni avverse eccezionali e l’investimento è impossibile da realizzare, allora è lo Stato che si accolla la perdita in conto capitale. Qual è il beneficio? Ovviamente, quello di incentivare l’investimento privato.

Infine, come dovrebbe essere effettuata l’allocazione e la gestione delle opere per massimizzare il Pil? Secondo un principio semplice: in proporzione del Pil regionale. Le linee strategiche vengono tradotte in piani operativi regionali (Por), discusse nella Conferenza Stato-Regioni e i governatori di ogni regione dovrebbero essere responsabili della completa attuazione. Autostrade, linee ferroviarie ad alta velocità, infrastrutturazione informatica, rete sanitaria, infrastrutturazione della nuova rete di idrogeno sono opere nazionali, ma l’esecuzione sia responsabilità del territorio, con ovviamente la possibilità di ultima istanza di commissariamento da parte dello Stato in caso di inadempienza. Viva l’Italia del futuro green!

(Il Riformista)

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