3 Maggio, 2024
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Lo strano caso del premier che confondeva Kabul e Reggio Calabria

Diciamolo subito per evitare equivoci: in un paese normale le persone come Gino Strada sarebbero nominate senatore a vita. Si può discutere delle sue opinioni politiche, di alcune sue asprezze ideologiche, ma non dei meriti di un’azione di solidarietà che è di esempio per generazioni di medici e di personale sanitario. Punto e a capo.

L’idea di nominarlo commissario straordinario alla sanità in Calabria o di inserirlo nello staff del neonominato Zuccatelli per dargli una mano (come ha detto il presidente Conte in una recente intervista) è non solo un proposito bislacco, ma addirittura preoccupante e per più di una ragione. Basterebbe aver visitato il sito di Emergency per rendersi conto del modo stravagante e improvvisato con cui la politica nazionale intende metter mano al dramma sanitario calabrese che coinvolge, da un tempo troppo lungo per non essere intollerabile, due milioni di cittadini.

Giustamente Gino Strada ricorda nella homepage istituzionale della sua associazione che «l’intervento di Emergency nella Piana di Gioia Tauro è iniziato nell’autunno 2011,

quando abbiamo inviato un ambulatorio mobile a Rosarno per assistere i braccianti impegnati nella raccolta di agrumi». Un gesto emblematico, significativo. Un pugno in pieno volto a tutte quelle autorità, anche giudiziarie, che avevano proclamato a chiacchiere di aver risolto il dramma delle favelas calabresi e insieme un richiamo profondo alle responsabilità e all’accoglienza. La Calabria come Kabul per qualunque uomo delle istituzioni o semplice cittadino calabrese doveva essere a un tempo un’esortazione e una sfida. È andata come è andata. Qualche arresto, altri incendi tra le misere baracche, altri morti carbonizzati. E la tenda di Emergency piantata lì come in Iraq o in Libano o nella Sierra Leone.

Immaginare che un medico che ha speso la propria vita nella cultura e nella vocazione all’emergenza sanitaria (certo la sua associazione quel nome non ce l’avrà per caso) possa portare a soluzione i problemi del Moloch sanitario calabrese reso claudicante da decenni di mala gestione e ridicolizzato dagli ultimi eventi, più che sorprendere, spaventa. Lascia interdetti, infatti, la sola idea che per porre mano alla ristrutturazione della rete ospedaliera calabrese, alla rimodulazione dei presidi territoriali, alle politiche di attrazione delle professionalità di alto livello nelle sale operatorie e nei reparti, alla bonifica della medicina convenzionata, alla riconfigurazione delle RSA, debba essere chiamato un medico abituato all’elmetto e alle tende e che opera da decenni nelle zone più remote e disastrate del mondo. La Calabria come Kabul era una sfida e una preoccupazione, lascia basiti che qualcuno ci abbia creduto veramente e che addirittura sia oggi disponibile ad avallare al più alto livello politico-istituzionale una tale conclusione. Ci mancano i caschi blu dell’Onu dopodiché l’operazione di militarizzazione della Calabria potrebbe dirsi portata a compimento anche nelle sue stimmate formali.

Un gigantesco non-luogo in cui la vita secondo qualcuno oscillerebbe tra incursioni mafiose, scorrerie giudiziarie cui, talvolta, manca solo il treno nero di Strel’nikov nel Dottor Zivago (tanto per restare in tema sanitario) e paternalismi romani che ritengono di poter risolvere ogni problema sospendendo le regole della democrazia e sostituendole con regimi speciali, tanto inefficaci quanto ormai privi di ogni credibilità tra la popolazione.

La vitalità culturale, economica e sociale di quella terra ha segni tangibili quasi quotidiani che occorrerebbe incoraggiare e sostenere.

Farsi l’idea che la Calabria sia un accampamento di tende di profughi, bisognoso del soccorso sanitario che accompagna le emergenze umanitarie, è il segnale che qualcosa di profondo si è lacerato nella percezione di quella regione nel resto d’Italia e nei palazzi del potere.

Anni di una rappresentazione collettiva orientata solo sui problemi connessi alla criminalità organizzata e sovreccitata dalla continua evocazione di una ininterrotta stretta repressiva, ricevono oggi il loro suggello definitivo dall’offerta fatta a Gino Strada di metter mano al sistema sanitario calabrese. Emergency sarebbe servita a Codogno o a Bergamo e oggi servirebbe a Napoli o a Milano dove gli ospedali stanno esplodendo, dove la falce pandemica miete dozzine di vittime al giorno e dove, non a caso, l’assessore Gallera ha espressamente invocato l’aiuto delle Ong. Proporla in Calabria come rimedio a una situazione di inefficienza che richiede anni e anni di interventi complessi, è un colpo duro da sopportare. Anche ammesso che Gino Strada accetti tra qualche mese sarà altrove, com’è giusto, e la sanità calabrese resterà impantanata nella sua sfortunata roulette commissariale con la pistola sempre alla tempia.

(Il Riformista)

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