3 Maggio, 2024
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Sace prevede uno shock per l’export italiano in caso di Brexit senza accordo

Secondo lo studio un no-deal impatterebbe nel 2021 con un calo del 12,1% delle esportazioni italiane nel Regno Unito.

Tra i prodotti più colpiti i beni di investimento che registrerebbero una contrazione del -27,6%

Lo spettro di una Brexit senza accordo aleggia sull’export italiano. In caso di no-deal nel 2021 i prodotti Made in Italy subirebbero una contrazione del 12,1% a causa delle barriere tariffarie introdotte, anziché crescere del 5,3% come atteso in caso del raggiungimento di un accordo commerciale tra le parti. Tra i prodotti esportati i più colpiti sarebbero i beni di investimento (che includono meccanica strumentale, mezzi di trasporto, apparecchi elettrici ed elettronici). Questi registrerebbero una contrazione simile a quella attesa per il 2020, pari a -27,6%. E’ l’analisi di Sace sugli effetti della Brexit e sulla possibilità, tutt’altro che da escludersi, del verificarsi di una no-deal exit.

Dinamica debole aggravata dalla pandemia

Già all’inizio dell’anno, prima della diffusione della pandemia, spiega Sace, le esportazioni italiane verso il Regno Unito mostravano una dinamica debole. In contrasto con l’andamento dell’export italiano verso il mondo, in crescita nei primi due mesi del 2020, le vendite di beni verso Londra hanno infatti registrato una contrazione già a partire da febbraio (-8,2% rispetto allo stesso mese del 2019); tale andamento è da ascriversi a un ritorno delle esportazioni sulla loro dinamica di medio periodo a seguito della crescita anomala registrata nella prima parte del 2019. A questo effetto si è poi aggiunto, a partire dal mese di marzo, lo shock economico da Covid-19. Il fondo è stato toccato nel mese di aprile, quando le vendite italiane oltreconfine hanno registrato un -41,5% e quelle verso Londra un -40,8%.

 

Con un no-deal dazio medio sui prodotti Ue del 3,3%

Nel già debole contesto sopra delineato, l’assenza di un accordo commerciale impatterebbe abbastanza gravemente sulle esportazioni italiane verso il Regno Unito. In particolare, nel 2021 le vendite di prodotti italiani anziché  crescere del 5,3% subirebbero una contrazione del 12,1% a causa delle barriere tariffarie introdotte, della minore domanda interna e del deprezzamento della sterlina. Ci sarebbe quindi l’adozione di un dazio medio sui prodotti europei del 3,3%, senza nessuna nuova barriera non tariffaria (mentre l’Ue introdurrebbe un dazio medio del 3,1% e barriere non tariffarie equivalenti in termini di dazi all’1,4%).

Questo provocherebbe un crollo della fiducia a Londra che si ripercuoterebbe sull’andamento del mercato azionario e della produzione industriale anche nei mesi successivi al primo gennaio 2021, data definitiva uscita di UK dalla Ue. La ripartenza delle vendite di Made in Italy nel mercato britannico sarebbe quindi rimandata al 2022, con una previsione di “perdita” per il valore del nostro export di beni di 3,7 miliardi di euro solo nel 2021. Alla fine dell’orizzonte di previsione, ossia nel 2023, il nostro export verso il paese sarebbe del 16,5% inferiore rispetto allo scenario di base.

In termini di prodotti Made in Italy i più colpiti sarebbero i beni di investimento (es. meccanica strumentale, mezzi di trasporto, apparecchi elettrici ed elettronici) che nel 2021 registrerebbero una contrazione simile a quella del 2020, pari a -27,6%. Il contesto economico ipotizzato, caratterizzato da elevata incertezza, colpirebbe in particolare questi prodotti che risentiranno, infatti, del ritardo nelle scelte di consumo e investimento di famiglie e imprese in attesa che il quadro si stabilizzi. Seguono, per impatto, i beni di consumo (-6,7%) e i beni intermedi (-4,7%).

L’incognita delle barriere tariffarie

Discorso a parte per i prodotti agroalimentari: se da un punto di vista economico, l’effetto negativo è ridotto (-0,4%) anche grazie alla natura di beni essenziali che li contraddistingue, il problema resta l’incognita sulle barriere tariffarie o di diverso tipo che potrebbero essere introdotte. Inoltre lo stop alla libera circolazione di persone in caso di hard Brexit, determinerebbe condizioni meno favorevoli per gli oltre 350.000 italiani che risiedono nel Paese.

L’impatto di un “addio al buio” andrebbe però oltre il commercio di beni, colpendo anche altri aspetti quali commercio di servizi, investimenti diretti esteri, presenza delle imprese italiane nel Regno Unito, nonché i numerosi cittadini italiani risiedenti oltremanica. Non da ultimo, un mancato accordo produrrebbe effetti sul commercio internazionale legato alle Catene Globali del Valore, in cui UK e Italia sono altamente integrate.

(Agi)

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