2 Maggio, 2024
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Il Pd dice sì al referendum. La direzione Dem blinda Zingaretti

La direzione Dem blinda Zingaretti: avanti con le riforme

La Direzione del Pd approva la proposta del segretario Nicola Zingaretti di votare sì al referendum del 20 settembre, passaggio tutt’altro che indolore in casa Dem dove, pur con toni pacati, le posizioni pro e contro il taglio dei parlamentari sono rimaste immutate. Un sì, in ogni caso, che rafforza i vincoli dell’alleanza con M5s, nella speranza che ora siano i pentastellati a compiere passi verso le direzioni auspicate dagli alleati Dem, a partire dalle modifiche ai decreti Salvini, l’utilizzo delle risorse del Mes e il cammino delle riforme. Queste battono il passo con il centrodestra pronto alle barricate, come dimostrano gli 800 emendamenti presentati al ddl Fornaro, una delle riforme costituzionali volute dalla maggioranza per correggere il taglio dei parlamentari.

“Mentre propongo il SI – ha detto Zingaretti nella sua relazione – dico che dobbiamo respingere le motivazioni banali che il taglio del numero dei parlamentari farebbe risparmiare soldi allo Stato.

I risparmi sarebbero minimi e non costituiscono il motivo principale del nostro si’. Il motivo principale sta nel fatto che a questo atto possono seguire altre riforme”.

Insomma la vittoria del No suonerebbe come il “de profundis” a ogni futuro tentativo di modificare la Costituzione, come l’adozione del bicameralismo differenziato che anzi il Pd deve rilanciare con una raccolta di firme, ha detto Zingaretti accogliendo una proposta di Luciano Violante. Sulla linea “riformista” di Zingaretti anche l’ex segretario Maurizio Martina, il ministro Dario Franceschini, l’area di Guerini-Lotti. Ma per il “no”, la cui posizione è stata definita “legittima” da Zingaretti, si sono schierate personalità di peso che hanno appoggiato Zingaretti al congresso, come Gianni Cuperlo e il capogruppo a Strasburgo Brando Benifei, Luigi Zanda, e, tra le minoranze, l’area dei “giovani turchi” di Matteo Orfini, o Tommaso Nannicini, tra i promotori del referendum.

Il sì, è la loro tesi, è l’abbandono definitivo di una cultura riformista a favore della demagogia che ora trionferà.

E lo dimostra il fatto che Luigi Di Maio ha rilanciato anche il taglio agli stipendi dei parlamentari. Zanda ha paventato che M5s rilancerà il superamento della libertà di mandato dei parlamentari, da loro proposto a inizio legislatura. “Pacta sunt servanda” ha ammonito Franceschini ricordando gli accordi con M5s. Per i fautori del No è stato facile rispondere evidenziando che invece i pentastellati non hanno a loro volta mantenuto i patti, come dimostrano i ripetuti stop alla riforma dei decreti Salvini.

Ma Zingaretti, che ha respinto le accuse di “subordinazione” a M5s, spera che questa prova di lealtà del Pd convinca il Movimento di Rocco Crimi e Luigi Di Maio a venire incontro alle richieste dei Dem su Mes, Recovery Fund e naturalmente su decreti Salvini e riforme. Anzi, su questi versanti Zingaretti, Martina e Franceschini hanno evidenziato che ampliando le riforme collegate al taglio dei parlamentari (sfiducia costruttiva, bicameralismo differenziato) si potrebbe dare maggior respiro alla legislatura al di là dell’utilizzo del Recovery Fund.

Alla fine Zingaretti incassa 188 sì alla sua proposta, rispetto a soli 13 contrari, 8 astenuti e 11 che non hanno preso parte al voto.

Il cammino delle riforme correttive del taglio dei parlamentari, tuttavia, ha un percorso accidentato. Sul ddl Fornaro, che dovrebbe essere approvato in Commissione entro il 25 settembre, sono piovuti 800 emendamenti del centrodestra che si appresta all’ostruzionismo. Quanto alla legge elettorale, il Germanicum, rimangono intatte le perplessità di Italia Viva e di Leu, mentre la richiesta di M5s del ritorno delle preferenze ha introdotto un nuovo elemento di discussione. Il primo voto, con l’adozione del testo base, è previsto martedì 8, quando Leu e Iv dovrebbero evitare di mettersi di traverso. Ma anche su questa legge il centrodestra non intende agevolare il cammino.

(La Stampa)

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