27 Aprile, 2024
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Bronzi di Riace, chi erano costoro? Teorie, leggende e mito

Alti quasi due metri, cesellati così finemente da sembrare vivi, pronti a scendere dai piedistalli su cui da decenni fanno bella mostra di sé, i Bronzi di Riace rimangono un mistero.

E misteriosa rimane ancora la mano o più probabilmente le mani che hanno dato loro forma, così come la loro reale identità.

Re, guerrieri, sacerdoti, strateghi, eroi, fondatori di antiche città o atleti delle prime Olimpiadi. Nel corso dei decenni le statue simbolo del museo archeologico di Reggio Calabria hanno stregato studiosi di ogni angolo del globo, determinati a dare un nome e una storia alla statua A, il Giovane con la folta capigliatura e barba riccia e la bocca socchiusa che lascia intravedere i denti d’argento, e la statua B, il Vecchio, con il capo e le braccia forse orfane di un copricapo e armi.

 

Nell’Antica Grecia nessuna statua era anonima, tutte raccontavano un mito o una storia. Ma quella dei Bronzi, ritrovati nel mare di Riace marina nel 1972 – forse vittime di un naufragio, forse abbandonate in mare per alleggerire una nave nel corso di una tempesta o secondo alcuni, “affogati” dai primi cristiani perché simboli pagani- rimane ancora un mistero. Al pari dell’individuazione, persino oggetto di diverse inchieste della magistratura, che più volte ha cercato di capire se i trafficanti di opere d’arte abbiano avuto un ruolo nella scoperta e nel recupero delle due statue.

In quasi cinquant’anni, innumerevoli sono le ipotesi, teorie e congetture avanzate per ricostruire la loro storia. L’ultima, del professore reggino Daniele Castrizio, che da anni li identifica nei fratelli Eteocle e Polinice, li vuole parte di un gruppo più complesso di cinque elementi, che ricostruisce il duello finale fra i due per il trono di Tebe. Per il docente, insieme ai due guerrieri c’era la madre Euryganeia, con le braccia allargate e disperata mentre cerca di dissuadere i figli dal duello, e fra loro Antigone e l’indovino Tiresia. Ed avevano occhi ambrati e colore dorato, divenuto nero lucido con il restauro di epoca romana.

Reggio Calabria: nel nuova casa dei Bronzi di Riace con l’architetto Paolo Desideri

Negli anni, più volte è stata proposta la teoria secondo cui le statue originarie fossero tre, di cui una sottratta e venduta sul mercato nero. Altri studiosi invece, sulla base di ricerche storiche, storiografiche e letterarie hanno letto nelle due statue altre storie e altri miti. C’è chi vede nel “Giovane” orgogliosi eroi del mito greco come Agamennone o Aiace e nel “Vecchio” uno stratega, forse Milziade, o uno degli eroi eponimi ateniesi, secondo alcuni Philaios, eroe della battaglia di Salamina, secondo altri Ippotoonte o Eneo. Una suggestiva ma poco accreditata teoria ipotizza che in realtà si tratti della medesima persona, Euthymos di Locri, antico pugile realmente esistito, più volte vincitore delle Olimpiadi nel pugilato, raffigurata in periodi diversi della sua esistenza. Altri ancora hanno visto nelle statue sovrani e sacerdoti, addirittura i fondatori di alcune città in Sicilia, cioè Gela, Agrigento e Camarina, o un guerriero e un profeta, morti entrambi nella battaglia contro Tebe.

Teorie diverse basate su studi più o meno accurati, che nel tempo hanno sempre più fatto ricorso alla tecnologia per “far parlare” le due statue. Ma una risposta univoca ancora non c’è. E il mistero che ancora li avvolge forse non fa che aumentare la magia di quegli antichi uomini – venerati da legioni di studiosi ma anche diventati protagonisti di fumetti e discutibili réclame – che ancora paralizza e incanta chi li “incontri” al Museo di Reggio Calabria.

(La Repubblica)

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