30 Aprile, 2024
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“CONGO, LA MALEDIZIONE DEL COBALTO”

Il progetto di inchiesta ambientale del giornalista Luca Attanasio insieme a Riccardo Noury di Amnesty International, Cristina Duranti della organizzazione non profit Buon Pastore, e Andrea Stocchiero di Focsiv.

  • Il materiale alla base delle batterie che alimentano le auto elettriche è il cobalto. Per produrne una ne servono circa 9 chilogrammi, una quantità enorme.
  • In Congo si produce oltre il 60 per cento del cobalto mondiale: è qui che si assiste a una corsa all’oro condotta nella più assoluta deregulation.
  • La domanda impazzita di cobalto ne ha fatto schizzare il costo. Ma invece di produrre benessere e sviluppo, questa moderna corsa all’oro sta generando un’emergenza umanitaria.
Molti di noi plaudono giustamente all’affermazione sempre più netta delle auto elettriche o ibride sul mercato. Il materiale alla base delle batterie che alimentano auto elettriche è il cobalto. Per produrre la batteria di un’auto elettrica ne servono circa 9 chilogrammi, una quantità enorme (ma il cobalto è materiale fondamentale anche per la fabbricazione di batterie per smartphone: in questo caso bastano 6/7 grammi, ma essendo di gran lunga più diffuse, hanno una richiesta esponenzialmente più alta). Da quando è esploso il mercato delle auto elettriche, si è scatenata nel mondo una caccia al cobalto.


L’enorme presenza di cobalto sta distruggendo intere aree del Congo

In Congo si produce oltre il 60 per cento del cobalto mondiale: è qui che si assiste a una corsa all’oro condotta nella più assoluta deregulation. I cinesi la fanno da padroni, ma anche moltissime compagnie occidentali sfruttano a costi risibili la manodopera locale causando un depauperamento intensivo di terre e popolazione e facendo precipitare il livello dei diritti indietro di secoli.
La domanda impazzita di cobalto ne ha fatto schizzare il costo. Ma invece di produrre benessere e sviluppo, questa moderna corsa all’oro sta generando un’emergenza umanitaria. Molti degli abitanti della regione dell’ex Katanga, si stanno dedicando all’attività estrattiva dopo aver abbandonato campi e bestiame. Diversi sono impiegati negli impianti industriali, ma il 20 per cento del cobalto è estratto in modo artigianale e ciò, considerata la domanda di minerale, sta diventando essenziale per soddisfare il fabbisogno mondiale.
I minatori artigianali lavorano in condizioni estreme, sterrando con mezzi rudimentali, infilandosi nei cunicoli scavati sotto casa per riportare alla superficie qualche chilogrammo a mani nude con paghe giornaliere che non arrivano a 2 dollari. 

Moltissimi sono i bambini (40.000 secondo l’Unicef):

più agili e brevilinei, si muovono con facilità all’interno dei cunicoli. I minatori sono esposti a livelli molto elevati di sostanze tossiche che provocano alta incidenza di malattie respiratorie e cardiache, patologie della pelle e neurologiche, gravi malformazioni nei neonati, per non contare gli incidenti in miniera che causano morti. Vite miserabili.
Il terminale ultimo delle estrazioni sono famosissime multinazionali dell’auto e dell’elettronica a cui il cobalto viene venduto. La situazione è purtroppo peggiorata a causa del Covid-19, che ha fatto chiudere i programmi di sostegno delle organizzazioni non governative.

Il paradosso tra diritto ambientale e diritti umani

Lo sviluppo del mercato automobilistico green sta producendo uno dei più clamorosi paradossi: per garantire il fabbisogno di cobalto necessario alle auto non inquinanti nei paesi più sviluppati, si procede a operazioni di sfruttamento di uomini e terre che sta progressivamente producendo un impatto gravemente lesivo dell’ambiente e dei diritti in Africa. La notizia positiva è che grazie al lavoro di alcune ong, le denunce di Amnesty o di associazioni di consumatori occidentali responsabili, è aumentata la pressione sulle aziende. Alcune si sono dotate di codice etico, rinunziano a impiegare bambini, adeguano le paghe, trattano sui diritti degli operai. Altre, purtroppo, continuano indisturbate.
Scopo dell’inchiesta che il giornalista Luca Attanasio propone, è favorire la consapevolezza in Italia (dove, a differenza di mondo anglosassone, si è scritto poco e ancora meno si conosce il fenomeno) e sostenere un consumo responsabile: chi acquista deve conoscere la filiera del prodotto e, nel caso non si dimostri rispettosa dei diritti, può trasformarsi in una potente arma di lotta per la salvaguardia della giustizia e dell’ambiente.

(Focsiv)

 

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