26 Aprile, 2024
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Coronavirus, l’epidemia spaventa Pechino: “Dal focolaio alto rischio di ulteriore diffusione”

Pechino non sarà una nuova Wuhan.

È questo il ritornello scritto e ripetuto dai media di regime lunedì mattina, per tranquillizzare i cittadini della capitale e quelli della Cina intera, che alla capitale guardano. Ma se è vero che il focolaio emerso la scorsa settimana nel grande marcato alimentare di Xinfadi appare ancora controllabile, i suoi numeri continuano a crescere, e con loro il livello di allarme e apprensione. Questa mattina le autorità hanno comunicato che i nuovi casi di Covid-19 rilevati a Pechino domenica sono stati 36, lo stesso numero del giorno precedente, il dato più alto registrato nella metropoli dall’inizio dell’epidemia di coronavirus. Il totale degli ultimi giorni arriva così a un’ottantina e la vice premier Sun Chunlan, volto della battaglia del regime contro il patogeno, ha detto che la capitale deve fronteggiare un “alto rischio di ulteriore diffusione”. Molti temono che questo focolaio possa far divampare in Cina una seconda ondata, a cominciare dalle Borse asiatiche che stamattina hanno aperto in (moderato) negativo.

Per le autorità comuniste la prospettiva di un contagio fuori controllo proprio nella città simbolo del potere va scongiurata a tutti i costi.

Non a caso questa mattina è già stato annunciato l’allontanamento di tre funzionari considerati responsabili: il manager del mercato di Xinfadi, il vice direttore del quartiere di Fengtai, dove il mercato si trova, e il capo del Partito della comunità residenziale di Huaxiang, sempre in quella zona, unica area del Paese che in questo momento è al massimo livello di allarme sanitario. Il messaggio per tutti è chiaro: la priorità è contenere l’epidemia prima che finisca fuori controllo. Ma la scommessa della autorità è anche riuscire a farlo senza mettere di nuovo in lockdown l’intera Pechino, misura che avrebbe costi economici e psicologici enormi. Finora sono state isolate 11 comunità residenziali attorno al mercato, mentre si procede a testare tutte le persone che dal 30 maggio hanno visitato la struttura, il più grande ingrosso ortofrutticolo di Pechino. Sono migliaia di persone, che già da ieri hanno iniziato a mettersi in fila di fronte ai laboratori autorizzati. In tutto, una decina di aree di Pechino hanno alzato il livello di allerta a tre (il secondo più alto), il resto della città rimane a due (più basso). Ma anche negli altri quartieri i controlli sono rafforzati e squadre di funzionari invitano i cittadini, attraverso gli altoparlanti o addirittura bussando alla porta, a sottoporsi al tampone nel caso avessero visitato Xinfadi. Per precauzione, la capitale ha di nuovo sospeso gli eventi sportivi, bloccato l’arrivo di turisti e rimandato l’apertura di asili e scuole elementari.

Il rischio del nuovo contagio a Pechino è anche una grande opportunità per il regime: mostrare ai cittadini e al mondo l’efficienza del suo sistema di tracciamento e test dei casi sospetti.

Proprio il gran numero di tamponi effettuati potrebbe portare il numero di casi a salire ancora.  Molto però dipende dall’estensione che il focolaio ha già raggiunto prima di essere individuato. Il fatto che alcune “scintille” abbiano già toccato altre regioni della Cina, con casi collegati riscontrati nel vicino Hebei ma anche nel lontano Sichuan, è un campanello d’allarme. Alcune città della Cina hanno iniziato a imporre una quarantena alle persone che arrivano dalle aree di Pechino colpite.

L’origine del focolaio di Xinfadi al momento non è chiara, ma le autorità, gli scienziati e i media di regime stanno insistendo molto sul concetto di contagio “importato” dall’estero.

È una narrativa che la leadership comunista ripete ormai da settimane, dopo aver contenuto l’epidemia “locale”, e che anche in questo caso può tornare utile per trovare un capro espiatorio esterno e dirigere altrove i malumori (il capo del Partito di Pechino, Cai Qi, è un fedelissimo del presidente Xi Jinping). Oggi uno scienziato del Centro per il Controllo e la prevenzione delle malattie di Pechino ha detto che le prime evidenze sul genoma del virus sembrano mostrare che “il ceppo viene dall’Europa ed è legato a casi importati”. Allo stesso modo i media sottolineano come tracce del virus siano state trovate su un bancone del mercato di Xinfadi dove veniva tagliato del “salmone importato”. Alcuni scienziati si spingono addirittura a ipotizzare che il patogeno sia arrivato in Cina attraverso dei prodotti surgelati, circostanza improbabile considerando che si tratta di un virus delle vie respiratorie. Eppure nella fobia generale supermercati e ristoranti hanno iniziato a liberarsi del pesce importato e i cittadini hanno di nuovo disertato i ristoranti, in particolare quelli giapponesi. In tutto sei mercati all’ingrosso di Pechino sono stati chiusi per indagini, mettendo sotto stress la filiera alimentare della città.

Sabato e domenica si sono viste scene di assalto ai supermercati, ma le autorità sono intervenute per assicurare ai cittadini che ci sono scorte sufficienti di cibo per tutti.

(La Repubblica)

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