19 Marzo, 2024
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Festa del 2 giugno, la storia di Teresa: “Mi fa sentire meno sola, parte di qualcosa. Non fuggirò dall’Italia”

Ha 23 anni, è originaria di Taranto e studia a Bologna: “È la ricorrenza che sento di più. Se penso al Tricolore vedo gli ideali bellissimi scritti nella Costituzione: la lotta alle disuguaglianze, l’antirazzismo, il sentimento partigiano”

“Il 2 giugno? Io lo vivo come un’occasione per ricordarsi di essere parte di qualcosa”. Teresa Torcello, 23 anni, originaria della provincia di Taranto, studia a Bologna: la triennale in Lettere, ora la magistrale in Filologia classica. La scuola, la ricerca universitaria nel suo futuro. “Non fuggirò dall’Italia: che io sia un cervello lo devono dire altri, ma ho la responsabilità delle mie gambe e se anche viaggerò e studierò in giro per il mondo vorrò sempre tornare».

Cosa rappresenta a vent’anni il 2 giugno?

“Tra le tante feste in rosso sul calendario è quella, insieme al 25 aprile, che sento di più. Non ho mai festeggiato in famiglia la festa della Repubblica, ma sono cresciuta con la consapevolezza della sua importanza: il suo valore è farci sentire un po’ meno soli, parte di qualcosa che ci accomuna. Mi piace pensarmi cittadina di una Repubblica democratica. Lo diamo per scontato, non lo è”.

E infatti l’estrema destra vuole tentare l’assalto anche di questa festa nazionale per eccellenza. La preoccupa?

“Personalmente molto, ma vedo che questa deriva, anche tra i miei coetanei, preoccupa troppo poco. È sintomatico, è successo anche per il 25 aprile, così facendo dimentichiamo la storia, perdiamo i valori di riferimento: la democrazia, l’antifascismo. Per me si tratta di uguali ideali, gli stessi che hanno portato alla Liberazione e alla Repubblica. Tra l’altro queste derive si innestano in situazioni di crisi e noi ne stiamo vivendo una molto pesante”.

Per quattro italiani su dieci l’emergenza giustificherebbe un freno alla democrazia.

“Non mi sorprende. Ma per dirla con Cacciari il rischio dell’uomo forte si prospetta quando l’uomo forte c’è, dunque occorre calare il ragionamento nello scenario politico reale. Questo non significa che non mi spaventi il vacillare dei valori repubblicani”.

La Festa della Repubblica anticipa la fine del lockdown, vede una analogia simbolica in questo?

“È una ripartenza, io potrò rivedere la mia famiglia in Puglia, e dovremo tutti fare i conti col senso di comunità e di Paese necessario per ricostruire. Non possiamo sottrarci e il buon senso sanitario di cui c’è bisogno non potrà essere l’unico. Non sono ottimista, non è che ne usciremo migliori. Chi ha avuto bisogno di una pandemia per accorgersi della fragilità dell’uomo non cambierà”.

Durante l’isolamento abbiamo cantato l’inno nazionale, esposto le bandiere. Cosa significa per lei l’Italia?

“Non ho cantato l’inno di Mameli, lo ammetto, ma Bella ciao sì e dalla finestra, perché non ho un balcone. Fuori da ogni retorica e da sentimentalismi patriottici, l’Italia per me è il paese in cui sono nata e se penso al Tricolore vedo in esso gli ideali bellissimi scritti nella Costituzione: la lotta alle disuguaglianze, l’antirazzismo, quel sentimento partigiano inteso nel valore più caldo di questo termine. Il concetto di patria? È talmente abusato e strumentalizzato da chi vorrebbe significasse ‘noi contro loro’, che non è la parola che userei in questa circostanza. Io direi: appartenenza all’Italia, cioè sentirmi cittadina, parte di una comunità”.

Ci siamo riscoperti italiani, ma questo è un paese da cui i giovani come lei fuggono. L’avverte questa contraddizione?

“Non farò il cervello in fuga, però è vero che questo non è un paese per giovani, ma potrebbe diventarlo. Dipenderà da noi e non solo”.

Voi siete la generazione senza confini, l’Europa è la vostra casa.

“È talmente così che lo diamo per scontato. Così come la scelta della repubblica sulla monarchia. Invece questi valori vanno continuamente difesi, sia quelli che ora ci permettono di vivere in uno stato democratico così come quelli originari che hanno fondato l’Europa”.

Si sente coinvolta in questo e nella ricostruzione che attende il Paese?

“Per la mia parte sì, sono ancora una studentessa, ma ho visto il fallimento dell’istruzione pubblica nel momento in cui è tornata ad essere affidata al censo. Con le biblioteche chiuse è andato avanti chi si è potuto permettere di comprare i libri, per fare un piccolo esempio. Il modo con cui abbiamo affrontato l’emergenza è dipeso dalla famiglia che avevamo alle spalle: strumenti per le lezioni online, capacità di rimanere fuorisede sostenendo i costi. Ora mi fa rabbia che si parli di noi solo in termini economici. Se gli studenti non tornano nelle aule universitarie addio affitti delle case, sembra la prima preoccupazione. Il problema è più profondo, riguarda la lotta alle disuguaglianze. La ricorrenza del 2 giugno ce lo ricorda, almeno lo spero”.

(La Repubblica)

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