26 Aprile, 2024
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Lo Stato di Diritto deve valere anche per Caino

(di Roberto Saviano – La Repubblica)

Garantire la salute del detenuto è fondamentale: un carcere che non è democratico diventa immediatamente un carcere dove comandano le mafie
Nei giorni scorsi hanno generato scandalo e polemiche i domiciliari dati ad alcuni ex esponenti di clan camorristici e mafiosi tra questi Pasquale Zagaria, fratello di Michele Zagaria, Francesco Bonura, Vincenzino Iannazzo, il corleonese Pietro Pollichino ed altri ancora in conseguenza di condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario. Se ne è discusso perché alle richieste dei magistrati di sorveglianza dal Dap non è arrivata alcuna risposta.

I domiciliari hanno destato scandalo ma i magistrati hanno agito nel rispetto del diritto e quindi hanno realizzato l’atto antimafia più potente.
Garantire la salute del detenuto, di qualunque detenuto, dall’ex boss al 41bis al detenuto ignoto, è fondamentale, è un atto che ha una efficacia antimafia immediatamente misurabile perché un carcere che non è democratico, diventa immediatamente un carcere dove comandano le mafie. Dove non essere picchiato, abusato, ricevere pacchi, avere una cella più decente diventano concessioni dei boss. Un carcere dove i diritti sono rispettati tutto questo lo disinnesca e impedisce.

Senza dubbio i boss non dovevano essere scarcerati, ma andavano curati in sicurezza in altre strutture carcerarie e lo Stato doveva mostrarsi pronto a dare risposte, senza temporeggiare o latitare.

Quando i diritti iniziano ad essere ignorati nelle carceri pensiamo che a pagarne le conseguenze in fondo siano categorie umane schifose che non meritano nessuna cura, peggio per loro, le bestie, gli assassini, i mafiosi. Ragionando così vincono le persone oneste? Tutt’altro, sono proprio i clan a vincere che in questo modo ribadiscono che solo con il potere dell’intimidazione, della corruzione ci si impone, ci si difende e ci si fa largo. I detenuti, e quindi anche i boss vanno curati non perché siamo caritatevoli o filantropi, anzi al contrario perché il diritto garantito ai detenuti ci salva dalla discrezionalità del potere in ogni altro ambito, dall’essere salvati o dannati a seconda dell’etnia, della classe sociale, dell’appartenenza politica.

Il diritto ci garantisce la libertà e la dignità ciò significa che rispettare la salute dei detenuti comporta una maggiore garanzia per i nostri stessi diritti che non saranno violati in nome di antipatia, interesse politico, una sicurezza insomma che lo Stato non sia un’entità che si muove per emotività e consenso.

“Dove c’è strage di diritto c’è strage di popoli”, diceva Marco Pannella, che lo scorso 2 maggio avrebbe compiuto 90 anni. E con questo intendeva dire che dove il diritto diventa un privilegio, allora i problemi li ha non solo chi chiede, pretende o ha bisogno di quel determinato diritto, ma tutti i cittadini.

Sarebbe importante che, durante gli ultimi anni delle scuole superiori, gli studenti potessero avere rapporti con le carceri, far visita alle carceri, parlare con i detenuti, con le guardie penitenziarie, con psicologi ed educatori. Sarebbe importante che il mondo di fuori avesse consapevolezza di cosa e di chi si muove nel mondo di dentro. Sarebbe un modo non solo per accorciare le distanze, ma anche per toccare con mano l’umanità che popola le carceri che è fatta di detenuti, ma non solo. Che è fatta di tutte quelle persone e quelle professionalità che in carcere lavorano in condizioni difficilissime.

Perché se le carceri non funzionano per i 55.036 detenuti (dati forniti dal Dap), non funzionano nemmeno per il personale penitenziario, che sono persone, oltre 30 mila persone, che condividono un dramma quotidiano fatto di sovraffollamento, di strutture fatiscenti, di carenza di cure e oggi, in epoca di pandemia, di impossibilità di incontrare i propri familiari e di paura, paura aumentata dalle difficoltà a poter applicare il distanziamento sociale.

Ma chi si interessa di carceri non sarà per caso affetto da una strana forma di buonismo? Al contrario: carceri che funzionano e che rispettano i diritti dei detenuti, sono carceri da cui, scontata la pena, usciranno individui in grado di reinserirsi nella comunità le cui regole avevano infranto. Individui che torneranno a delinquere con una incidenza minore rendendo le vite di tutti noi più sicure. Ogni volta che si afferma: “Ma che ci importa di questa gente che bisogna chiudere dentro e buttare la chiave, rispettiamo invece gli onesti” si sta spingendo un detenuto all’affiliazione, si sta votando quindi per la propria insicurezza sociale. Ma come spesso accade a prevalere è la polemica, la polemica che tutto sommerge sotto strepiti e urla scomposte. La polemica che culmina con le dimissioni del direttore del Dap. Polemica che culmina con il Decreto Bonafede, approvato il 29 aprile dal Consiglio dei ministri, secondo cui per i delitti più gravi, inclusi quelli di mafia, i magistrati di sorveglianza dovranno chiedere l’autorizzazione ai magistrati della procura della città dove è stata emessa la sentenza e la risposta deve pervenire entro 30 giorni anche se, come è evidente, nei casi in discussione 30 giorni sarebbero stati davvero troppi.

La differenza vera tra le organizzazioni criminali e la politica è che la politica si occupa del domani più prossimo mentre le mafie ragionano per ere. Le mafie ragionano per ere significa che i boss sanno perfettamente che le loro azioni daranno i frutti più duraturi nel lungo, lunghissimo periodo. Le mafie ragionano per ere significa che quello che paga un affiliato in termini di latitanza, carcere o anche morte oggi, sarà la forza delle generazioni future in termini di potere, denaro e influenza. Il buon funzionamento delle carceri è la misura del buon funzionamento del sistema-paese nel suo complesso; quando vi diranno che le carceri non sono una priorità e che le condizioni dei detenuti vengono dopo ciò che accade fuori, sappiate che non solo non sarete voi la prossima priorità, ma con quelle parole – che sembrano semplici e suonano bene – stanno ipotecando la nostra sicurezza negli anni a venire.

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