9 Maggio, 2024
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Messaggio di Alessio Pascucci ai cittadini di Cerveteri: “Responsabilità che ci fa smettere di essere semplicemente individui e ci trasforma in una Comunità.”

Riceviamo e pubblichiamo il messaggio del Sindaco Alessio Pascucci ai suoi concittadini

“Lo sapevo che sarebbe stato inevitabile. Anche se in fondo speravo non accadesse. Da quando ho annunciato i primi casi di COVID-19 a Cerveteri, migliaia di voi mi stanno chiamando, massaggiando, scrivendo sui social per sapere i loro nomi, dove vivono, cosa hanno fatto in questi giorni. ¬Notizie che, come capite, non si possono diffondere e che comunque non aiuterebbero in nessun modo il lavoro certosino di contenimento che la ASL ha già messo in piedi.

Sia chiaro: la paura è più che comprensibile. Anzi, secondo me, è ancora troppo poca. O, se anche stesse arrivando ai giusti livelli, è tardiva. Altrimenti non avrei dovuto chiudere i parchi, i campetti sportivi, i cimiteri, il lungomare. Non sarebbe stato necessario: le persone avrebbero capito da sole. La paura serve, è fondamentale. Perché ci difende dai pericoli. Ma non possiamo perdere la lucidità. Mai. Perché nelle emergenze, serve tutta la concentrazione di cui siamo capaci. E dobbiamo mantenere il sangue freddo.

Eppure mi state chiamando in tantissimi. Chiedendomi di dirvi di più, spesso facendo leva sull’amicizia. Ma non intendo farlo.
E mentre rispondo alle tante telefonate, capisco che tutto questo ha a che fare con la fiducia.

Se in questi giorni mi scrivete, mi chiamate, mi mandate messaggi, deve significare che pensate che io sappia rispondere alle vostre domande. Che conosca la risposta. In qualche modo siete disponibili a darmi la vostra fiducia. E questo mi fa sentire onorato. Al contempo, però, non siete convinti che magari io dica abbastanza. Ritenete che avrei potuto o dovuto dare maggiori dettagli, fornire più informazioni. È come se contemporaneamente vi fidaste e non vi fidaste.

Sia chiaro: non vi chiederò mai di affidarvi al buio. Chi mi conosce sa che non sono un appassionato delle cambiali firmate in bianco. E non posso certo chiederle a voi. Tutt’altro: faccio sempre milioni di domande, stressando il mio interlocutore, perché se non capisco fino in fondo una cosa (e in genere, ce ne metto di tempo), non riesco ad esserne convinto. Ma sul piatto ci deve essere anche il tema della competenza. In questi ultimi anni ho visto persone leggere informazioni su internet e iniziare a dare consigli ad avvocati, medici, chirurghi, architetti. Quello che una volta avveniva in Italia soltanto nel calcio (tutti super allenatori pronti a spiegare ai professionisti come andava fatta la formazione), è diventata l’usanza in ogni settore. Ed è chiaro che questa condotta non ci porterà da nessuna parte. Ho una grande stima per le persone che sono brave in qualcosa, quelli che ne sanno più di me, che hanno studiato di più, che magari hanno semplicemente una dote o che hanno lavorato per sviluppare un dono. Le guardo ammirato, pensando a quanto si possa essere orgogliosi di far parte della stessa comunità, della stessa specie.

In questo momento stiamo affrontando una emergenza senza precedenti. Una situazione imprevista, forse la più difficile crisi che il mondo abbia conosciuto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E capisco che ci sentiamo impotenti. Possiamo aver paura, lo ripeto, ma dobbiamo sapere che ci sono persone più preparate di noi. E dobbiamo saperle ascoltare. Per questo tutti i giorni, prima di prendere qualsiasi decisione, mi riunisco con il responsabile della Protezione Civile, con la Comandante della Polizia Locale, con i dirigenti e i funzionari dei settori chiave. Perché anche se sono consapevole che spetta a me l’onere della scelta, sono convinto di dover ascoltare con attenzione chi ha più competenze. Ascoltare.

Ma che c’entra tutto questo con le chiamate che sto ricevendo? Secondo me le due tematiche sono profondamente interconnesse. C’è un protocollo che stiamo tutti applicando scrupolosamente. Esso prevede che chi ha dei sintomi sospetti o chi è stato in zone “pericolose” o chi è entrato in contatto (anche di sfuggita) con un caso positivo, debba essere messo in quarantena preventiva. E lo stiamo facendo. Questo perché il virus potrebbe non manifestarsi subito o, peggio, i primi giorni potrebbero essere asintomatici. Poi c’è il protocollo, più restrittivo, per i casi accertati positivi; esso prevede che si individuino subito tutte le persone che nei giorni precedenti hanno avuto contatti con chi ha contratto il virus e che si isolino anche loro immediatamente. E stiamo facendo anche questo.

Eppure non ci fidiamo. Chissà se la ASL, il Servizio Sanitario, la Protezione Civile, il Sindaco davvero stanno facendo quello che devono.

È curioso: spesso le stesse persone che credono a qualsiasi bufala emersa dalla rete, dalle scie chimiche al complotto mondiale, fino agli elicotteri che nottetempo disinfettano dall’alto la nostra Cerveteri, le stesse persone che credono a notizie senza nessuna fonte, senza nessun riscontro, arrivate su WhatsApp dall’amico dell’amico, poi mettano con la stessa semplicità in discussione qualsiasi notizia ufficiale arrivata dalle Autorità competenti. Da ore circolano le più disparate ipotesi (spacciate per certe, anche se tutte sbagliate) sulla identità di questi primi casi. Lo so perché arrivano anche a me. Forse è il caso di fermarsi un attimo.

Il Sindaco è il responsabile della salute della comunità. Una volta Fiorello La Guardia, un grande Sindaco di New York (che peraltro, pochi lo sanno, ha studiato da aviatore nella nostra base di Furbara) ha detto: “se anche un passero muore a Central Park, io mi sento responsabile”.

È vero, è esattamente così. E sappiate che non ci si sente mai pronti. Perché nessuno ti prepara alla responsabilità della vita degli altri. Una responsabilità che mi sento sulla pelle, che ci sentiamo tutti sulla pelle, ogni singolo istante. Per i miei cari, per tutte le persone che amo o che conosco, per quelle che non conosco, per i bambini e le bambine, per i nostri genitori e i nostri nonni, per chiunque posi piede sul territorio di Cerveteri.

Mi interrogo senza sosta su quale sia la scelta migliore. Su cosa fare e cosa non fare. Su come farvi sentire la mia vicinanza in questo momento così complesso e come aiutarvi. Sono in contatto continuo con decine di sindaci di città molto più grandi della nostra, con quelli delle comunità vicine, con i primi cittadini dei comuni del nord dove l’emergenza è in fasi più avanzate. Perché voglio capire come fare meglio, come fare di più. Ma non dimentico mai che la responsabilità va esercitata con rigore. Soprattutto in situazioni come questa. Va esercitata consapevoli che le scelte giuste e quelle popolari non vanno quasi mai d’accordo. L’ho sempre detto e pensato; e sono convinto che valga ancora di più in questo momento delicato.

Medici, paramedici, personale del sistema sanitario, forze dell’ordine, protezione civile, volontari, ma anche sindaci e amministratori locali; tutti lavoriamo avendo a cuore la vostra salute. Così come voglio ringraziare i fornai, gli edicolanti, i commessi nei supermercati, i fattorini delle consegne a domicilio, gli artigiani, gli operai nelle fabbriche, gli autotrasportatori, insomma tutti quelli che stanno resistendo e mettendocela tutta perché l’Italia non si fermi. Con paura, ma con spirito di servizio.

Come avviene da noi. Una giovane che ha un negozio di frutta e verdura e una signora che da decenni gestisce un market di quartiere, sentite in queste ore mi hanno confidato entrambe che pur nella preoccupazione per loro e per i loro dipendenti, resistono e resisteranno, prendendo tutte le accortezze del caso, ma consapevoli di quanto sia importante il loro lavoro, il loro pezzetto di impegno, il loro contributo alla sopravvivenza della nostra Cerveteri, della nostra comunità, della nostra Italia.
Ogni giorno possiamo scoprirci piccoli eroi quotidiani. Facendo una telefonata a una persona anziana che pensiamo possa sentirsi sola, distraendo i nostri figli che soffrono più di noi senza poter uscire, tenendo al sicuro le persone più avanti con l’età che sono più esposte ai rischi, limitando al minimo le uscite da casa. Semplicemente rispettando le regole. Quelle regole che non sono soltanto per la nostra sicurezza personale, ma per l’incolumità di tutti.

Mentre vi scrivo vedo dalla finestra la nostra meravigliosa Cerveteri. E mi pesa terribilmente sentire il silenzio assordante di piazza Aldo Moro che mi fa addirittura mancare quei continui e insopportabili colpi di clacson dei giorni feriali o le macchine che i più giovani assembrano di notte sotto le mura del Museo; vedere il Parco della Legnara deserto; non potermi arrabbiare con le automobili parcheggiate in modo disordinato su piazza Risorgimento. Non lo vedo, ma immagino con tristezza il campo Enrico Galli, i campetti di via Luni e parco Borsellino vuoti e senza le grida dei bambini, le sedie non occupate e i tavoli senza libri della Biblioteca comunale, le altalene ferme, i viottoli antichi della Necropoli della Banditaccia senza nessun turista e senza nessun Cerveterano a cercare gli asparagi e la mentuccia.

Eppure noi siamo ancora qui. Comunità di Etruschi, orgogliosi della nostra storia. Ne abbiamo passate tante in oltre tremila anni di storia, fin da quando con i nostri tre porti governavamo il Mediterraneo mentre a Roma, come diceva Lawrence, ancora non c’erano che le prime sparute capanne. Noi, eredi della terra dove Venere ha donato le armi sacre ad Enea, perché con esse fondasse la civiltà occidentale. Noi che incontravamo e ospitavamo qui Greci e Fenici, consapevoli della ricchezza delle contaminazioni.

Abbiamo sempre dimostrato al mondo che la nostra tempra era più forte di qualsiasi avversità. Abbiamo superato la peste, le carestie, le occupazioni straniere. Sempre con quel nostro orgoglio. E a quell’orgoglio faccio appello oggi, a quella vita rappresentata nei tumuli dei nostri antenati, alle nostre tradizioni.

Torneremo ad abbracciarci, a baciarci, a stare insieme. Torneremo nelle piazze, nei campi sportivi, nelle biblioteche. Torneremo a ballare e a cantare a squarciagola.

Perché, insieme, ne sono certo, possiamo superare anche questa nuova difficoltà. Sentendoci tutti uniti e non lasciando indietro nessuno. E prendendoci ognuno, nel nostro piccolo, un pezzo della Responsabilità.

Quella Responsabilità che ci fa smettere di essere semplicemente individui e ci trasforma in una Comunità.

#andràtuttobene. Ne sono certo”.

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