20 Aprile, 2024
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Il convento di S. Antonio di Padova set de “Il signor diavolo” di Pupi Avati

Oriolo. Incontro con il regista bolognese Pupi Avati e alcuni attori protagonisti del lungometraggio

 Dopo quattro lunghi giorni di attesa e grazie anche alla preziosa collaborazione di Charlie Owens, assistente alla regia, siamo finalmente riusciti ad incontrare Pupi Avati, presente per una settimana ad Oriolo, presso il Convento di S. Antonio di Padova, per girare alcune scene del suo nuovo film “Il signor diavolo” tratto dal libro omonimo scritto dallo stesso Avati per Guanda editrice.

Nel frattempo, scambiate quattro piacevoli chiacchiere con parte della troupe, con gli attori Gianni Cavina, Lino Capolicchio (già ad Oriolo quarant’anni fa con “Solamente nero”, ndr) e Rita Carlini, nonché con controfigure, comparse e figuranti, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il noto regista bolognese tra una pausa e l’altra delle riprese.

Disponibile e cortese, con un ampio sorriso stampato in viso, tale da rendere meno evidenti i segni di una fisiologica stanchezza causata dalle intense ore di lavoro, Pupi Avati ha risposto alle nostre domande e alle nostre curiosità con professionalità, pazienza ed attenzione.

Buonasera, questo film segna un po’ il ritorno alle origini, all’horror e alle atmosfere gotiche de “La casa dalle finestre che ridono” (1976) e “Zeder” (1983), veri e propri cult-movie nel loro genere. Ci parli, allora, della sua ultima produzione.

«La storia si svolge nel nord-est dell’Italia nei primi anni ’50, in un paese del Polesine non meglio precisato, e si insinua pian piano in meandri cupi e misteriosi, dove credenza popolare e religione, superstizione ed umana ragione, innocenza e peccato si fondono e si confondono, ottenebrando la mente dei vari protagonisti, in un mondo in cui tutto sembra possibile. Anche il diavolo».

Ma lei ci crede al diavolo?

«Direi proprio di si. Se esiste un Dio del bene, non vedo come non possa esistere un ente supremo del male. Il diavolo, appunto».

Chi sono i personaggi principali?

«Al centro delle vicende narrate nel film c’è il rapporto fraterno tra i due adolescenti Paolino Osti e Carlo Mongiorgi con il coetaneo Emilio Vestri Musy, quest’ultimo vittima sacrificale dell’odio e della maldicenza dei due amici e dell’ignoranza e della paura della gente. E poi la morte prematura di Paolino, quella di Emilio per mano di Carlo e la dolorosa inchiesta del messo Furio Momentè, ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia inviato in Polesine per fare luce sul caso».

Set d’eccezione per questo lungometraggio, prodotto da Rai Cinema e da Antonio Avati per DueA Film, il Convento di S. Antonio di Padova, con il fascino antico dei suoi quasi 350 anni di vita e la partecipazione di un gruppo di ragazzini oriolesi nel ruolo di comparse.

Perché la scelta della chiesa del Convento di S. Antonio come location?

«Per la sua bellezza, nonostante il difficile momento che l’edificio ha vissuto diversi anni fa, la sua architettura, i suoi superbi interni e perché, senza ombra di dubbio, essa può essere annoverata tra i pochissimi luoghi di culto italiani che ancora oggi mantengono intatte le loro peculiarità storiche, artistiche e religiose».

Dario Calvaresi

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