26 Aprile, 2024
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Domenica è cultura: parte “Cinema da Camera” una rubrica di cinema, di Marco Feole

“CINEMA DA CAMERA”

 

di Marco Feole

 

Allora vediamo, dovrei prima presentarmi o fare una sorta di scheda stile concorso di bellezza, ma non sono molto bravo in questo, anche perché con la bellezza credo di avere poco a che fare. E allora basta dire forse che mi chiamo Marco, che ho 31 anni, che sono malato di Cinema, ma malato tipo irrecuperabile, e che se qualcuno da queste parti ha già letto qualcosa di mio, forse è più malato di me…ma intanto grazie!

Ma non siamo qui per parlare di me per fortuna, ma di Cinema! E cercherò di farlo a mio modo, cercando di trasmettere la mia passione, sperando che tutto questo possa essere quel contenuto che magari cercavate!

Su questi “schermi”, ovvero le pagine de L’agone, partiamo oggi con un progetto a tema, che ci porterà da qui fino a Natale. Il “Cinema da camera”, meglio conosciuto anche come il Kemmerspiel, letteralmente “recitazione da camera”.

Il Kammerspiel è stato identificato in passato come una delle tre fondamentali correnti del Cinema tedesco d’avanguardia, insieme al Cinema espressionista ed alla Nuova oggettività. Nonostante le notevoli differenze con l’espressionismo, sono esistiti alcuni punti in comune tra i due movimenti, come l’importanza degli elementi simbolici, ma le due correnti hanno caratteristiche opposte.

Il “Cinema da camera” privilegia ambienti ridotti e spesso spazi temporali brevi, ponendo accenti sui primi piani e sulle sfumature delle emozioni, basando il tutto su movimenti di macchina estremamente mobili e mai fissi, seguendo letteralmente i protagonisti in scena, come per mostrarli sempre da vicino, e a “contatto” con lo spettatore. Rilegando il tutto appunto quasi ad un’unica ambientazione, una vera e propria rappresentazione teatrale nel Cinema.

Insomma, vi sto annoiando forse fin troppo, quello che cercheremo di fare in questa rubrica è provare a parlare dei grandi classici vicini a questa corrente e un modo per conoscere e ricordare i grandi Autori che ne fanno parte, o che hanno semplicemente legato i loro racconti ispirandosi ad essa.

Era difficile scegliere con cosa partire. Poi abbiamo scelto.

Signori, ecco a voi uno splendido settantenne: Nodo alla gola di Alfred Hitchcock!

 

 

1.  NODO ALLA GOLA del 1948

Alfred Hitchcock

 

di Marco Feole

 

Siamo nel 1948, esattamente 70 anni fa e Alfred Hitchcock regista britannico considerato una delle personalità più importanti della storia del Cinema, non era ancora quello di Psyco, Gli uccelli o La finestra sul cortile.

Un giovane Hitch sorprendeva tutti in quell’epoca presentando un film tratto da un’opera teatrale del 1929, e mettendo in scena qualcosa che in quegli anni era considerato davvero rivoluzionario.

Il tutto si svolge in un appartamento di New York, dove due giovani uccidono un amico e nascondono il cadavere all’interno di una cassapanca. La stessa che verrà poi allestita come tavolo da vivande per un imminente ricevimento al quale saranno presenti i parenti della vittima. Nessuno sospetta di nulla, ma gli atteggiamenti di nervosismo dei due insospettiscono un professore presente alla festa, che a fine ricevimento li metterà alle strette.

Un unico ambiente, una rappresentazione teatrale talmente geniale da tenere lo spettatore incollato senza annoiarsi mai. Ma cosa ha reso e cosa rende ancora a distanza di 70 anni Nodo alla gola di Hitchcock cosi innovativo e geniale? La regia!

Il film è composto infatti da dieci piani-sequenza, la maggior parte dei quali collegati tra loro in modo da apparire come un’unica ripresa. Cos’è un piano-sequenza? In breve, una tecnica cinematografica che consiste nel modulare una sequenza attraverso un’unica inquadratura, molto lunga, senza tagli o stacchi.

Dieci riprese da dieci minuti ciascuna, che era esattamente la durata di proiezione di un rullo, ovvero 300 metri di pellicola. Questo comportava la presenza necessaria di stacchi alla fine di ogni rullo, e la presenza di giunte di montaggio. Ma come fece Hitch ad ovviare a tutto ciò? “Facendo passare un personaggio davanti all’obiettivo per oscurarlo proprio nel momento preciso in cui la pellicola del caricatore finiva. Così c’era un primissimo piano sulla giacca di un personaggio e all’inizio della bobina successiva si riprendeva ancora col primissimo piano sulla sua giacca”, realizzando cosi, l’intenzione del regista nel dare la sensazione di un unico piano-sequenza per l’intero film.

Un esercizio di stile, l’intuizione di un genio, la prova tecnica sublime di un regista che con quel film, tra l’altro il suo primo film a colori, quindi una sfida nella sfida, segnava con prepotenza la sua firma nella cinematografia mondiale. Ecco perché la bellezza di questo film è anche e soprattutto nella realizzazione, che spesso dai meno avvezzi, viene dimenticata nelle valutazioni.

Si può solo immaginare cosa significasse all’epoca un tipo di lavorazione cosi, uno sforzo complessivo tra regia, troupe e attori che fu premiata da un discreto successo di pubblico e di critica, anche se l’accoglienza ricevuta non fu entusiastica come Hitchcock si sarebbe forse aspettato.

Come succede spesso, saranno gli anni a ridare a Nodo alla gola l’importanza che merita e la sua giusta collocazione, come pellicola di riferimento per molti. Un film da studiare, e mostrare. Dando a noi oggi la possibilità di parlare ancora dopo 70 anni di una pietra miliare, di quello che poi diventerà il maestro del brivido!

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