Nelle due giornate dedicate ai quattro referendum abrogativi promossi dalla Cgil e a quello promosso da +Europa, si sono recati ai seggi, in tutto il territorio nazionale, 14 milioni di elettori. Potrebbe sembrare una buona notizia, visto l’invito dei partiti di governo a disertare le urne e il deserto dell’informazione ufficiale, ma la matematica ci dice che questa enorme quantità di persone rappresenta il 30,6% della popolazione, percentuale molto lontana dal 50%+uno, necessaria per abrogare alcuni articoli di legge.
Ancora una volta le analisi e i commenti dipendono da quali sono gli obiettivi che si volevano raggiungere: se il risultato da ottenere era il raggiungimento del quorum, la sconfitta è netta, tenendo anche in considerazione che tra quelli che sono andati a votare c’è mediamente un 10/15 per cento che ha votato no ai quattro quesiti sul lavoro mentre, per quanto riguarda il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, la percentuale del no sale al
35%.
Quest’ultimo è un risultato che stento a digerire, in queste due giornate passate tra i seggi di una scuola media di Bracciano, ogni volta che qualcuno si avvicinava ai seggi, lo guardavo con ammirazione per il coraggio della propria azione e per una condivisione (risultata qualche volta presunta) delle mie idee, infatti, non sempre è stato così, me ne sono accorto subito durante le spoglio delle schede nei quattro seggi in cui ero rappresentante di lista, poi nei risultati che arrivavano dagli altri seggi del paese ma anche dagli altri paesi limitrofi: i risultati erano maledettamente identici, i si, che nei quattro quesiti sul lavoro si aggiravano intorno all’88%, in quello in cui si chiedeva di portare, a chi è nato in Italia da genitori stranieri, gli anni necessari per avere la cittadinanza italiana, dalla vergogna dei 10 anni alla vergogna dei 5 anni, diminuivano al 65%.
Se invece l’obiettivo era anche quello di ritrovare le ragioni di una battaglia comune, che unisca le forze che si oppongono a questo governo, quei numeri sono una buona base di partenza, anche se sono numeri che conosciamo molto bene perché molto vicini ai voti presi dai partiti di centro-sinistra alle ultime elezioni politiche, superiori ai voti presi dal centro-destra, soltanto l’incapacità di trovare una strategia comune ha permesso a questa destra-destra di vincere le elezioni.
Ricordiamoci che anche in questi cinque quesiti referendari, non tutte le posizioni dei partiti di centro-sinistra erano allineate. Se i grandi numeri, che ancora riusciamo a produrre, non saranno accompagnati da una sentita volontà di unione, dalla continua ricerca dei valori che uniscono, le aspettative delle persone che contribuiscono alla costruzione di questi grandi numeri, rischiano di essere bruciate, con gravi danni per il futuro del nostro paese.
Lorenzo Avincola