28 Aprile, 2024
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Storia di un fallimento educativo. Che parte (anche) dalle famiglie

Ieri i genitori punivano i figli bocciati, oggi ricorrono contro la scuola

“Espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar”. Non aveva torto il filosofo, psicoanalista, Umberto Galimberti, professore presso l’università Ca’ Foscari di Venezia, quando lamentava che sempre più genitori ricorrono al Tribunale amministrativo regionale contro la scuola che ne ha bocciato il figlio. Il Tar è il tribunale che accoglie i ricorsi contro gli atti emessi dalla pubblica amministrazione. L’intento è duplice: annullare l’atto o richiedere un risarcimento del danno. Sono troppi i genitori che impugnano la decisione della bocciatura: uno studente veneziano, bocciato agli esami di stato del 2022, dopo essersi rivolto al Tar è stato promosso; il tribunale ha revocato la bocciatura a una ragazza di Tivoli, nonostante avesse riportato 6 insufficienze; una ragazza di Trento, che era stata esclusa dalla maturità, è stata poi ammessa a sostenere le prove suppletive. Il Ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara sta tentando di bloccare queste continue “intromissioni” dei tribunali sulle decisioni dei docenti nei consigli di classe.
Una volta il discorso era chiaro: erano i docenti a doversi esprimere poiché solo essi possedevano specifiche competenze interne all’ordinamento scolastico. In realtà, secondo l’avvocato di diritto scolastico Michele Bonetti, è accolto solo un ricorso su dieci, ma sconcerta il fatto che ci siano genitori disposti a pagare cifre che vanno dai 3.500 euro fino ai seimila/ottomila euro, capaci di attendere un anno pur di evitare al figlio la bocciatura. Poco importa se il suo vocabolario linguistico è ridotto a 200 parole e di conseguenza è ridotta la sua capacità di pensiero. È certo che questi genitori non aiutano i figli a crescere poiché incutono in loro la sfiducia verso la scuola, legittimano un atteggiamento di disimpegno e tenendoli costantemente sotto protezione rischiano di portarli all’indolenza in età adulta.
Il problema è di tipo educativo: troppo spesso, all’interno delle famiglie, si rinuncia a dire di “no”, a fissare regole, a indicare mete e obiettivi e si impedisce così al bambino di crescere con una forte consapevolezza di ciò che vuole davvero, ma i “no” intelligenti fanno davvero crescere anche a livello neurofisiologico. La psicologa canadese Suzanne Vallierés per aiutare i genitori nell’educare alle regole ha messo a punto “la legge delle cinque C” in cui ne evidenzia la caratteristica. Esse devono essere: “chiare”, cioè date senza tanti giri di parole; “concrete”, in modo da poter essere eseguite; “costanti” poiché non cambiano secondo l’umore dei genitori; “coerenti” perché se la regola è non gridare, vale anche per i genitori; chi è disubbidiente subisce come conseguenza, un “castigo”, non certo di tipo corporale, svalutante o umiliante.
Anna Maria Onelli

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