28 Aprile, 2024
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Abbracci anticontagio, videochiamate e regali sanificati: il Natale nella Rsa

I 79 pazienti della residenza “Anni Azzurri” hanno dovuto rinunciare a degli spazi di socialità per prevenire il contagio.
Ma nei giorni scorsi hanno potuto vedere i loro famigliari grazie a una stanza degli abbracci.
E a Natale, dopo il pranzo della tradizione, potranno stringere tra le mani i doni e scartarli in videochiamata con i loro cari

Il Natale nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) è fatto di sguardi complici, carezze in sicurezza, pacchetti incartati con cura. Menu speciali per le festività. Santa Claus non dimentica nessuno. Plana nel patio esterno della residenza “Anni azzurri parco di Veio”, in via Barbarano, sulla via Cassia, a quattro passi dallo svincolo per il Raccordo anulare. Dispensa regali e sorrisi.

Velia ha 94 anni, soffre una demenza senile non particolarmente accentuata, è ricoverata nella struttura da un anno. Non appena Sara Lubrani, 32enne educatrice professionista, la accompagna con dolcezza di fronte al telo di plastica morbida che separa gli ospiti dai loro familiari, Velia sorride alle figlie. Si emoziona. Angela e Tiziana, una libera professionista e un’impiegata, rispettivamente di 66 e 64 anni, arrivate dalla Tiburtina, le mostrano due pacchetti confezionati con della carta natalizia: un bel pigiama nuovo, una scatola di cioccolatini. “Ciao mamma, come stai? – esordiscono le figlie – buon Natale”. Poi l’abbraccio. Lungo, emozionante. Separati solo da un velo protettivo che adesso sostituisce il vetro della porta finestra.

In quell’abbraccio, la famiglia si riunisce. Si stringe isolandosi dal resto dei mondo, come sospesi in una bolla d’amore. L’immagine ha il duplice valore, del pubblico e del privato. Non esprime solo l’emotività familiare, ma rappresenta  una speranza per il futuro. Un nuovo punto di partenza dopo il focolaio che ha imposto la chiusura della struttura dal 29 settembre al 18 dicembre, causando “48 positivi gestiti internamente, con cinque decessi da covid – racconta la direttrice Antonella Di Bernardini – e altri 15 ospiti sono stati trasferiti in ospedale a causa delle complicanze causate dal virus. Di questi, solo due sono rientrati”. Gli altri non ci sono più.

Per facilitare il contenimento di eventuali nuovi contagi, i 79 pazienti suddivisi su due palazzine (la A da 78 posti e la B da 40 posti) hanno dovuto rinunciare a degli spazi di socialità: i degenti di ogni piano non entrano in contatto gli altri, per efficentare al massimo le misure di tracciamento. Il Covid ha stravolto anche il compito degli educatori come Lubrani: “Siamo appena usciti da un momento difficile – racconta  – siamo stati completamente isolati da settembre a dicembre: l’unico strumento che avevano gli ospiti per dialogare con le famiglie erano le videochiamate: 15 minuti a testa una volta a settimana. Con 120 pazienti da assistere per noi non è stato facile, adesso con la riapertura assistiamo a dei momenti toccanti. Il Covid ci ha stravolto la vita”. Per ragioni di sicurezza, Lubrani e le sue colleghe, non portano più i capelli lunghi, hanno dovuto scoprire un nuovo modo per sentirsi comunque belle. Un aspetto del tutto privato. Sul lavoro sono impegnate nella gestione della comunicazioni tra pazienti e familiari e hanno dovuto rinunciare allo sviluppo delle normali attività per la riabilitazione cognitiva dei pazienti. “Con la riapetura – aggiunge Lubrani – ho visto familiari che non avevo mai visto prima”.

Non è il caso di Maria Roberta Gramuglia, la figlia 54enne di Maria Pallavicino, 86 anni, in cura da una para paresi spastica e ospite della Rsa da sei anni. “Mamma è entrata insieme a papà, che era già malato di tumore. Non ha voluto lasciarlo solo. Quando lui è scomparso, lei ha deciso che questa era diventata casa sua”. Paravicino ha la mente lucidissima, i modi composti, eredità morale delle famiglie di altri tempi.  “Qui ho imparato a usare il computer  – racconta la donna – mi trovo bene, la riabilitazione è molto curata”. La donna sta traducendo un libro sulla storia della sua famiglia.

“Mamma – si raccomanda Gramiglia – non dimenticarti di ricaricare l’iPad”, che l’86nne usa con grande disinvoltura. E in videochiamata si faranno gli auguri. Scarteranno insieme i regali, a distanza. I pacchetti che Lubrano e i suoi colleghi hanno riconsegnato ai pazienti dopo averli sanificati e lasciati “decantare” due giorni in una stanza apposita, per scongiurare ogni rischio di propagazione del virus.

Dopo il cenone della vigilia a base di risotto al salmone e merluzzo all’acqua pazza. La lasagna del 25, seguita dall’abbacchio alla scottadito, patate al forno, i nonni della residenza “Anni Azzurri” stringeranno tra le mani i doni piovuti nella stanza degli abbracci voluta dalla Regione Lazio, “perché nessuno deve essere lasciato indietro”. Sopratutto a Natale. Quando uno sguardo complice, una carezza, diventano i regali che si desiderano di più. È la magia dei sentimenti.  E Santa Claus plana nelle Rsa.

(La Repubblica)

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