14 Ottobre, 2024
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L’inchiesta Abusi sui migranti della rotta balcanica, scende in campo l’Ue

Dopo le denunce su violenze e respingimenti, l’Agenzia Ue per i diritti umani: monitorare i comportamenti della polizia. Zagabria: violenze presunte. A Trieste con i volontari che curano le ferite

La lavanda dei piedi comincia all’ora del vespro. È il quotidiano rito dei volontari che ogni sera, nel piccolo parco tra la stazione e il vecchio porto, dai loro zaini da studente estraggono garze, cerotti, unguenti. Passano da lì gli impavidi del game, i superstiti della roulette russa dei respingimenti a catena, e a bastonate, verso la Bosnia. Cacciati fuori dai confini Ue.

Dopo le nuove denunce di queste settimane, qualcosa tra Bruxelles e Zagabria si muove.

L’agenzia Ue per i diritti fondamentali è pronta a monitorare i comportamenti delle polizie lungo i confini. Ma manca una data per l’avvio del piano di prevenzione degli abusi.

Pochi giorni fa a Bruxelles hanno chiuso un rapporto che racconta di vicende sfuggite alle cronache e conferma che nella Commissione Ue tutti sanno. Nelle scorse settimane «una bambina afghana di sei anni, Madina Hosseini, è stata uccisa da un treno in transito al confine tra Croazia e Serbia» si legge nel dossier, che precisa: «Secondo il rapporto del difensore civico croato, Madina e la sua famiglia erano arrivate in Croazia e avevano chiesto asilo, quando è stato detto loro di tornare in Serbia». Una violazione delle norme sul diritto d’asilo finita in dramma. La famiglia è stata trasferita «in un veicolo della polizia vicino alla ferrovia e istruita a seguire i binari fino alla Serbia. Poco dopo, la bambina di sei anni è stata uccisa da un treno».

Da Kabul a Trieste sono 4mila chilometri. Da qui il villaggio di casa è lontano, la guerra anche. C’è chi l’ultimo tratto lo ha percorso cinque volte. Perché acciuffato dagli agenti sloveni, infine riportato in Bosnia dopo una lezione della polizia croata. E c’è chi a Trieste invece c’era quasi arrivato, ma è stato colto dalla polizia italiana sulla fascia di confine, e poco dopo “riammesso” in Slovenia, come prevede un vecchio accordo tra Roma e Lubiana siglato quando implodeva la ex Jugoslavia.

Scarpe sfondate, vestiti rotti, le caviglie gonfie e gli occhi troppo stanchi di chi l’ultima volta che s’è accucciato su un materasso era in un qualche posto di polizia. Per Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), è più che «anomalo che la riammissione possa avvenire senza l’emanazione di un provvedimento amministrativo». Anche perché «è indiscutibile che l’azione posta in essere dalla pubblica sicurezza attraverso l’accompagnamento forzato in Slovenia produce effetti rilevantissimi – aggiunge – sulla situazione giuridica dei soggetti interessati».

Ricacciati indietro senza neanche poter presentare la domanda di protezione, molti passano per le mani delle guardie croate. Anche qui, però, il compatto muro di omertà tra uomini in divisa comincia a incrinarsi.

La diffusione di immagini e filmati che documentano la presenza di gendarmi tra i picchiatori di migranti sta convincendo diversi agenti a denunciare anche i loro superiori. Gli ordini, infatti, arrivano dall’alto. Il merito è dell’Ufficio per la protezione dei diritti umani di Zagabria, dotato di poteri investigativi che stanno aprendo la strada a indagini della magistratura, garantendo l’anonimato ai poliziotti che collaborano con le indagini. Il ministero dell’Interno di Zagabria respinge le accuse arrivate nelle ultime settimane da testate come Der SpiegelThe Guardian e Avvenire, riguardo le violenze commesse dalle autorità lungo i confini. Foto e filmati mostrano uomini in divisa armati di spranghe e fruste. «Non si può confermare con certezza che siano membri regolari della polizia croata», si legge in una nota. «La polizia croata protegge il confine dalla migrazione illegale, lo protegge dalle azioni illegali e dai pericoli – aggiunge – che possono portare con sé persone senza documenti e senza identità, e lo fa per fornire pace e sicurezza al popolo croato». Tuttavia «non tolleriamo alcuna violenza nella protezione delle frontiere né (la violenza) è parte integrante delle nostre azioni». Riguardo al filmato e alla ricostruzione di Border Violence Monitoring «concludiamo che non abbiamo registrato azioni in base alla data e al luogo dichiarati nell’annuncio». Quali indagini siano state condotte non è però dato saperlo. «Controlleremo accuratamente i presunti eventi».

Mentre dal Carso i primi refoli della sera si scontrano con quelli che soffiano dal mare, i volontari appostati nei dintorni della statua della principessa Sissi si preparano a un’altra serata con dolori da alleviare e lamenti da ascoltare. Lorena Fornasier, 67 anni, psicoterapeuta, e suo marito Gian Andrea Franchi, 83 anni, professore di filosofia in pensione, passano spesso di qua. Raccolgono quelli messi peggio. Lo fanno da anni, senza clamore, e si devono a loro le prime denunce sui maltrattamenti subiti dove finiscono i Balcani e comincia la Mitteleuropa.

«Bisogna portare in tribunale dei casi individuali con l’intento di definire un precedente che sia valido per tutti, per attivare dei cambiamenti normativi che permettano un maggiore rispetto dei diritti fondamentali», osserva Giulia Spagna, direttrice per l’Italia del Danish refugee council, le cui squadre continuano a raccogliere prove di abusi lungo tutta la dorsale balcanica. «Da una parte – aggiunge – si devono offrire soluzioni concrete alle persone che hanno subito soprusi, attraverso supporto legale, oltre che medico e psicologico. Dall’altra usare questi episodi per influenzare le politiche europee e nazionali».

(Avvenire)

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