24 Aprile, 2024
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“È troppo zelante”, arrestato per mafia. L’assurda vicenda di Danilo Tripodi (ora libero)

«Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché quella emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro del 12 dicembre 2019… disponendo l’immediata liberazione di Tripodi Danilo…».

Prendi un giovane cancelliere calabrese e lo sbatti in galera, lo accusi di essere troppo zelante nel suo lavoro, tanto da essere sospettato di essersi fatto corrompere. Non c’è nessuna prova della corruzione, ma lo arresti lo stesso e, per completare l’opera, lo accusi anche di essere mafioso. Questo succede nell’impero della Calabria del procuratore Nicola Gratteri e della sua inchiesta “Rinascita Scott” con cui diventerà più famoso di Falcone e Borsellino. Ma non esiste solo l’accusa, c’è anche un gip che la conferma e un tribunale del riesame che ci mette il suo carico. Che si rivelerà zavorra, alla fine.

Infatti, quando l’avvocato Francesco Sabatino nel gennaio 2020 aveva presentato ricorso al tribunale del riesame, questo aveva verificato immediatamente l’assenza di “mafiosità” di Tripodi, ma aveva insistito nel considerare il cancelliere uno che si faceva corrompere e lo aveva mantenuto in stato di carcerazione fino al mese di maggio, quando, di fronte a un secondo ricorso dell’avvocato, si era deciso a disporre i domiciliari. Quasi come se, in genere in Calabria, si avesse una certa ritrosia ad avere un parere diverso rispetto a chi nei processi rappresenta l’accusa. Eppure mai come in questo caso è palese la totale estraneità dell’imputato da qualsiasi commissione di reato.

La sentenza della cassazione in luglio è infatti tombale: annullamento senza rinvio e scarcerazione. Danilo Tripodi non è né mafioso né corrotto. Oggi, dopo la lettura delle motivazioni, sappiamo anche il perché. Conosciamo le ragioni che hanno indotto la sesta sezione della suprema corte e il suo presidente Giorgio Fidelbo a dare un sonoro schiaffone al processo “Rinascita Scott” di Gratteri e al suo blitz di un anno fa, ma anche all’ordinanza del tribunale del riesame che aveva mantenuto per mesi in carcere un imputato per una corruzione inesistente. La storia di Danilo Tripodi andrebbe raccontata nelle facoltà di giurisprudenza per mostrare come un processo può essere costruito a tavolino. Si tratta di un giovane cancelliere, 39 anni, assistente giudiziario del presidente del tribunale di Vibo Valentia, la cui storia finisce con intrecciarsi, in modo del tutto casuale, con quella dell’avvocato Francesco Stilo, un altro degli imputati di “Rinascita Scott” arrivato proprio ieri, dopo un anno di carcere, nella sua casa dopo che il gup ne aveva deciso gli arresti domiciliari per le sue gravi condizioni di salute.

Nel 2016 l’avvocato Stilo aveva presentato al tribunale civile di Lametia una richiesta di risarcimento nei confronti dell’azienda sanitaria, che riteneva responsabile di non avergli diagnosticato per tempo la sua “sospetta dissecazione aortica”, quella che è stata confermata anche di recente dal perito nominato dal giudice delle indagini preliminari del processone istruito dal procuratore Gratteri. Il procedimento era stato assegnato al presidente del tribunale dottor Filardo, di cui Danilo Tripodi era assistente giudiziario. Veniva nominato come perito medico il dottor Antonio Di Virgilio. Intanto sono passati due anni, e ci ritroviamo nel 2018 quando iniziano una serie di telefonate, sms e mail tra il medico e il cancelliere per questioni inerenti la perizia e una serie di complicazioni burocratiche che Danilo Tripodi cerca di districare, su indicazione del presidente del tribunale, con lo zelo per lui consueto.

Proprio quello zelo che gli verrà poi rimproverato, perché ritenuto sospetto da magistrati che evidentemente, nell’ambito del loro lavoro, erano abituati solo a incontrare impiegati pigri e incapaci. Spiace dirlo, ma diversamente dovremmo pensare a comportamenti dolosi nei confronti di Tripodi da parte di qualche giudice. Va anche detto però che un agente della polizia giudiziaria a un certo punto aveva riferito di aver visto il cancelliere che parlava con l’avvocato Francesco Stilo, e questo aveva accresciuto i sospetti. Pare “addirittura” che i due si conoscessero. Stiamo parlando del piccolo palazzo di giustizia di Lametia, non di Roma o di Milano, e di due operatori del diritto, un avvocato e l’assistente del presidente del tribunale. Ovvio che si conoscessero, e solo qualche cultura distorta avrebbe potuto vedere in questo qualcosa di strano.

In ogni caso i messaggi e contro-messaggi tra Tripodi e il dottor Di Virgilio proseguono dal gennaio 2018 fino al successivo agosto, anche con la nomina di uno psichiatra e conseguente visita nei confronti dell’avvocato Stilo. La bozza della perizia medica conclusiva viene depositata in cancelleria il 21 agosto, ma prima di mettere il timbro finale, Tripodi suggerisce al medico (per evitare che gli venga richiesto in seguito) di aggiungere una classificazione delle patologie e di sommare la percentuale di invalidità dell’avvocato Stilo. Cosa che viene aggiunta il giorno dopo, su una relazione comunque datata 21 agosto. Ecco il reato di falso! Molto sospetto, se aggiunto al fatto che il cancelliere conosceva l’avvocato e che nel suo lavoro era stato “zelante”. Qualche ingenuo studente di giurisprudenza che crede nella giustizia, non ci crederà. Ma questi e solo questi sono i motivi per cui una persona è stata cinque mesi in carcere più due ai domiciliari per associazione di stampo mafioso, corruzione e falso. Con l’aggiunta della sospensione dal suo lavoro e dal trasferimento in un altro ufficio. Una vita distrutta, e non è un modo di dire. Quale fiducia potrà più avere Danilo Tripodi, visto che oltre a tutto continua a lavorare in un tribunale? Che cosa potrà insegnare ai suoi figli?

La Cassazione demolisce punto per punto la decisione del tribunale del riesame, quello che, pur escludendo che Tripodi fosse un mafioso, aveva stabilito con certezza che era un corrotto,

ritenendo provata «la pattuizione tra lo Stilo ed il Tripodi di un accordo finalizzato ad influenzare l’andamento del procedimento civile in favore dell’indagato». Dove sono i soldi? Chiede la suprema corte. Dove sono le altre utilità? Domanda con insistenza. Almeno una promessa? Niente di niente. Il legale del cancelliere, l’avvocato Francesco Sabatino, aveva anche rilevato che la misura cautelare in carcere era stata adottata sulla base di un contestazione diversa dalla strada poi imboccata in corso d’opera. Tanto che la sentenza della cassazione parla di «ipotesi congetturale rispetto alla quale si riportano una serie di circostanze in sé irrilevanti… utilizzate quale apparente conferma di una tesi preconcetta».

Tesi preconcetta, chiaro? Tra l’altro, sempre in corso d’opera, prima Tripodi sarebbe stato il corruttore del dottor Di Virgilio, poi sarebbe stato invece semplicemente l’uomo corrotto dall’avvocato Stilo. Tutto ciò, tutta questa macchinazione, a che scopo? Per accelerare quella che non era niente di più se non una richiesta, da parte del legale malato, di una composizione tra il danno che riteneva di aver subito da parte della Asl e l’assicurazione di quest’ultima che resisteva sul risarcimento.

In conclusione, gentile dottor Gratteri (e tutti coloro che credono in lei e nel suo lavoro), gentile Gip che ha disposto la misura cautelare in carcere per Danilo Tripodi, gentili giudici del cosiddetto tribunale della libertà, ma avete un po’ di coscienza? O siete tutti dei Morra che vedono mafia ovunque, anche nelle ombre, come scrisse un altro giudice, quello che si crede poeta e che ha sbattuto in galera il presidente del consiglio regionale Mimmo Tallini, che (scommettiamo) sarà presto scarcerato?

(Il Riformista)

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