19 Maggio, 2024
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Coronavirus, nel Lazio ospedali al collasso: interventi “ospitati” nelle cliniche private

Esclusi gli interventi più urgenti e inderogabili, e quelli collegati all’assistenza oncologica, gli ospedali pubblici possono cercare un’alternativa alla sala operatoria e al ricovero.
Dal San Camillo già il 5 novembre richiesta di “manifestazione di interesse delle strutture private per disponibilità ad ospitare discipline chirurgiche”

 

È la resa della sanità pubblica a quella privata. Di fronte all’onda Covid che sta divorando pezzo dopo pezzo i posti letto dedicati alle altre patologie, il sistema sanitario regionale è costretto ad affidare non solo agli alberghi come lo Sheraton, come già Repubblica aveva anticipato qualche giorno fa, dove vengono inviati i malati covid e dove arrivano sanitari, ossigeno e medicine, ma anche alle strutture private le operazioni chirurgiche e altre cure di cui non può più farsi carico. Il governatore Nicola Zingaretti lo ha previsto nell’ultima ordinanza firmata venerdì, preceduta da una deliberazione siglata dal direttore generale della Sanità Renato Botti. Esclusi gli interventi in classe A e B, cioè quelli più urgenti e inderogabili, e quelli collegati all’assistenza oncologica, gli ospedali pubblici possono cercare nei privati un’alternativa alla sala operatoria e al ricovero. Naturalmente corrispondendo ai privati i costi della collaborazione, ma senza alcuna spesa aggiuntiva per il paziente.

E la caccia alle cliniche private è partita. “In settimana l’Aiop, l’associazione italiana ospedalità privata del Lazio, comunicherà quali cliniche saranno a disposizione”, conferma la presidente Jessica Faroni “Il vero problema sarà la carenza di personale medico”. “Il rischio”, sostiene Natale Di Cola, segretario di Cgil Roma e Lazio, “è che chiuda la sanità pubblica no Covid. Bisogna evitare che questi trasferimenti diventino permanenti, che qualche eccellenza esca dal sistema pubblico”. Preoccupata anche la Cisl Fp. “Vogliamo chiarezza dalla Regione Lazio. Quali sono le modalità? Quali sono i tempi? L’universalità del servizio pubblico dev’essere garantita”, chiede il segretario generale Roberto Chierchia. “Già ad agosto avevamo denunciato quanto stava accadendo, e continua ad accadere a Villa Betania, dove ogni venerdì, per una convenzione con l’Asl Rm 1, si svolgono gli interventi protesici di anca e ginocchio programmati nelle liste di attesa del Santo Spirito e del San Filippo Neri”.

Che si sarebbe andati incontro a problemi reali e preoccupanti lo aveva sottolineato a più riprese, proprio a Repubblica, Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) e primario al San Camillo, denunciando che durante il lockdown erano saltati oltre 600 mila interventi chirurgici e di questi 50mila di chirurgia oncologica. “Siamo preoccupati. Si stanno chiudendo ospedali interi, si stanno riconvertendo reparti di chirurgia in Covid, molte terapie intensive vengono destinate alla pandemia. Dal punto di vista della chirurgia oncologica continua lo stesso trend e questa volta sarà peggiore: perderemo ancora interventi perché il virus ha ripreso a correre”.

Proprio il San Camillo, già il 5 novembre, per ovviare al problema ha pubblicato una “manifestazione di interesse delle strutture private per disponibilità ad ospitare discipline chirurgiche” per il “periodo di emergenza Covid-19”. Una “ricognizione per attivare accordi di collaborazione” nelle discipline “ortopedia, otorinolaringoiatrica, chirurgia plastica, urologia, chirurgia maxillo facciale, chirurgia generale, oculistica”.

“Bisogna diagnosticare e curare il più possibile nelle case, ma non lasciando i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta nudi”, avverte il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia “Occorre dotarli di tutti i dispositivi di protezione e di tutte le nuove armi diagnostiche e terapeutiche che esistono”. Perciò: strumenti mobili radiologici, ecografi polmonari per diagnosticare le polmoniti. Le terapie per i pazienti curati a casa devono essere le stesse usate negli ospedali. “Per quanto riguarda le terapie”, spiega Vaia “bisogna dare ai medici la possibilità di somministrare ai pazienti tutte quelle più innovative, che abbiamo sperimentato allo Spallanzani e in altri ospedali, fino a quella con gli anticorpi monoclonali”. Per Vaia questo significa potenziare il territorio. “I lock-down chirurgici, così come le quarantene chirurgiche, sono uno strumento utile in questa fase per coniugare due esigenze: quella della tutela della salute pubblica e quella di evitare che il paese possa deprimersi. Ma questi lockdown devono essere accompagnati da azioni sul territorio”, conclude.

(La Repubblica)

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