20 Aprile, 2024
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Roma, mazzette per camion bar e bancarelle: 18 arresti.

Ci sono anche due Tredicine

Un giro di mazzette per aggiudicarsi le postazioni migliori per i loro camion bar. E non solo: anche i banchi della befana di piazza Navona, quelli di abbigliamento e souvenir. Otto persone in carcere, 10 ai domiciliari e 40 gli indagati per un’inchiesta della procura di Roma sul commercio ambulante. L’indagine del nucleo speciale di polizia valutaria svela un quadro inquietante in cui per ottenere uno spazio i commercianti dovevano pagare: si arriva fino a 60mila euro l’anno.  E chi non si sottometteva, finiva vittima di usura: era costretto a chiedere prestiti a strozzini suggeriti dal gruppo. Tra gli arrestati anche Dino e Mario Tredicine, il primo in carcere e il secondo ai domiciliari, e Alberto Bellucci, capo dell’ufficio discipline e rotazioni.

Al centro dell’inchiesta, infatti, ci sono proprio le rotazioni che, per definizione oltre che per legge, devono cambiare ogni due mesi. E invece, anche tramite prestanomi e licenze fittizie, erano sempre gli stessi ad assicurarsi le postazioni. Il tutto anche grazie alla complicità delle associazioni sindacali di categoria, di cui Mario Tredicine era componente: anche loro chiudevano un occhio in cambio di qualche bustarella. Agli atti dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Antonio Clemente, anche alcune videoriprese. In una di queste Bellucci mettendo il contante nel portafogli commenta tra sé e sé: “E la pratica è clamorosamente archiviata”.

A dare il via all’indagine, la denuncia di un cittadino bengalese che non voleva pagare e che ha subito minacce violentissime.

Il sistema copriva il commercio ambulante di tutta la città, 240 le postazioni finite nell’inchiesta, dal centro alla periferia, e aveva un tariffario ben preciso a seconda del luogo e del periodo dell’anno. In una delle intercettazioni, uno degli indagati dice: “Tutte le sostarelle fanno i turni, se le vendono a 7 piatte (700 euro, ndr)”. Le mazzette, oltre che in contanti, venivano anche saldate con pranzi, cene, capi d’abbigliamento griffati o, addirittura, abbonamenti allo stadio: secondo gli inquirenti era dal 2006 che l’ufficio veniva gestito in questo modo. E la figura chiave era proprio Bellucci. Di lui Dino Tredicine dice: “Finché al 34 c’è Alberto, la categoria non trema”.

Tra i capi di imputazione contestati dalla procura, anche uno più recente che riguarda il bonus per le partite Iva messo a disposizione dal Governo nell’ambito delle misure per contrastare la crisi da Covid. Dino Tredicine aveva messo a disposizione di alcuni commercianti bengalesi un commercialista che li avrebbe aiutati ad ottenere i sussidi dell’Inps. Un servizio che sarebbe stato pagato: gli stranieri dovevano restituire una parte della somma ricevuta, circa la metà, agli indagati.

La Finanza aveva perquisito i Tredicine a febbraio del 2019 e Dino si era sfogato, il giorno dopo, con il figlio Stefano: “Parlano pure dei redditi degli ultimi 20 anni, ma mica sò 20 anni solo che lavoramo. A Stè, ma questi vanno cercando de levacce tutto, ‘sti pezzi de merda, questi ce fanno fà la fine dei zingari capito? Io ‘sti giorni passati avevo pure pensato a vendè qualche cosa”. Ed è anche dal comportamento tenuto in quei giorni che il gip deduce la loro “pericolosità criminale” che, scrive Francesco Patrone, “emerge altresì dagli scomposti tentativi, che lo stesso voleva attuare attraverso parenti o conoscenti dopo aver appreso della esistenza delle indagini”. Tredicine, che vanta un patrimonio pari a 3,1 milioni di euro, in quei giorni caldi progetta di occultare “quanta più documentazione possibile in box, cantine o locali, o addirittura mettendola all’interno di un furgone o dietro una parete in muratura”. Ma non potrà evitare che con l’operazione di oggi arrivi a suo carico una richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni per un importo di 809.250 euro.

(La Repubblica)

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