4 Maggio, 2024
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La pandemia aggrava la condizione femminile: Il 72% dei lavoratori che rientrano il 4 maggio sono uomini

72 per cento dei 2,7 milioni di lavoratori che tornano al lavoro il 4 maggio sono uomini. Non è una scelta sessista del legislatore, naturalmente, ma la conseguenza delle attività che presentano un rischio contenuto, e che a breve potranno riprendere: attività manifatturiere e delle costruzioni, tipicamente a prevalenza maschile. Tuttavia, rileva uno studio pubblicato sulla Voce.info, “questo massiccio rientro al lavoro di uomini finirà per caricare di ulteriori compiti di cura le donne all’interno delle famiglie, rischiando di ridurre ancora di più la loro offerta di lavoro, già minata dalla chiusura delle scuole e dalla assenza di alternative credibili alla gestione diretta dei carichi familiari”. Il tasso di occupazione femminile in Italia è da sempre fanalino di coda in Europa, il 49,9% dall’ultimo report Istat. Sale al 53,8% se si considera la fascia di età tra i 20 e i 64 anni, attesta Eurostat, ma comunque si tratta di un tasso lontanissimo dalla media europea, che è del 67,3%, con punte ben oltre il 70% per Paesi come la Svezia (quasi all’80%), la Finlandia, ma anche il Porgogallo o la Lituania.

Secondo l’analisi Censis in Italia ci sono più laureate che laureati (sono 4.277.599, pari al 56% degli oltre 7,6 milioni di laureati), un dato in aumento negli ultimi cinque anni. Le donne sono la maggioranza anche negli studi post-laurea, con ben il 59,3% degli iscritti a dottorati di ricerca, corsi di specializzazione o master. Così pure nei risultati il genere femminile risulta più brillante: alle scuole secondarie di primo grado il 5,5% delle ragazze si licenzia con 10 e lode contro il 2,5% dei ragazzi. Il voto medio di maturità è 79/100 per le ragazze, mentre per i ragazzi è di 76/100. All’università il 55,5% delle studentesse si laurea in corso. Il 24,9% delle femmine si laurea con 110 e lode, contro il 19,6% degli uomini. E il voto medio conseguito alla laurea è pari a 103,7 per le donne e a 101,9 per i maschi.

Ma tutta questa preparazione a quanto pare serve a poco. La scarsità di servizi per l’infanzia soprattutto nel Centro Sud costringe le mamme, molto più dei papà, a rinunciare al lavoro dopo il primo o il secondo figlio. Tra le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio preferisce il part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione. Secondo una ricerca di Manageritalia basata su dati Istat e Isfol, il 27% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio, per cui se prima della gravidanza lavorano 59 donne su 100 dopo il parto ne continuano a lavorare solo43 con un tasso di abbandono pari al 27,1%.

Una situazione che non può che peggiorare con la pandemia. Il bonus baby sitter è ritenuto insufficiente dalla gran parte delle famiglie. La scuola a distanza non solo privilegia gli studenti dotati di una buona connessione e di un buon computer, ma quelli che dispongono di genitori, il più spesso di madri, che li sappiano usare. Il rischio di contagio ha privato moltissime famiglie dell’aiuto delle lavoratrici domestiche: in aprile si è registrata un’impennata del 30% dei licenziamenti. Da un lato molte donne sono rimaste senza lavoro, dall’altro su molte famiglie, soprattutto su molte donne, è ricaduto tutto il peso del lavoro domestico.

La convivenza forzata per le misure di contenimento della pandemia potrebbe certo indurre a una maggiore condivisione dei compiti, però l’Italia finora non ha brillato sotto questo profilo: dall’ultima indagine Istat sulla vita quotidiana emerge che le donne in età 25-44 anni, in coppia con figli, che sono occupate come il loro partner, dedicano mediamente ogni giorno al lavoro familiare il 21,6% del proprio tempo, (di cui il 12,8% per il lavoro domestico). Gli uomini invece dedicano rispettivamente 9,5% e 4,1% del proprio tempo a queste attività.

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