13 Maggio, 2024
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Per tornare a essere il “Bel Paese” la riflessione di Roberto Morassut (PD)

Torneremo ad essere il Bel Paese? Il triste primato che abbiamo conquistato in queste settimane come paese maggiormente colpito dal flagello virale può rischiare, per un periodo non breve, di comprometterne un altro più importante e storico: quello di essere un paese sano. L’Italia regina della biodiversità, titolare del più grande capitale naturale d’Europa, sede del patrimonio artistico e culturale in assoluto più rilevante del mondo (e quindi con una fortissima vocazione turistica), Paese del buon cibo e della maggiore varietà di produzione agroalimentare, rischia di essere oscurata e corrosa per lungo tempo dal dilavamento del Covid-19.

Sarà piacevole e sublime come prima, per milioni di turisti, godere del nostro paesaggio, visitare le nostre città, affollare i nostri musei, mangiare il nostro cibo ed i nostri prodotti? Dobbiamo rapidamente tornare ad essere il Bel Paese e tutti debbono concorrere (partiti, cittadini e Istituzioni) per questo obiettivo. Ma, per farlo, dobbiamo ripartire cambiando radicalmente alcune cose del Paese che abbiamo alle spalle.

Il Bel paese infatti aveva – l’uso del passato suoni come augurio – anche tristi primati: livelli record di contaminazione delle matrici ambientali (suolo e aria in particolare), centinaia di comuni senza un sistema europeo di depurazione delle acque (soprattutto nel Mezzogiorno), tasso record di aumento annuale di consumo di suolo (in particolare nelle zone di pianura e sulle coste), record di erosione costiera, record annuale di morti per particolato e biossido di azoto, abusivismo edilizio.

Se tutto ciò è stato un pesante fardello in passato per il Bel Paese, nel futuro lo sarà ancora di più perché questa esperienza dimostra, tra le altre cose, che l’epidemiologia torna ad essere una disciplina biomedica assolutamente centrale e legata agli stili di vita, all’alimentazione e all’ambiente.

Ancora. Siamo il Paese con i centri storici più belli del mondo ma, tranne poche eccezioni, con le città più sporche, con il patrimonio edilizio più vecchio, con i servizi più scadenti, con bassi livelli di digitalizzazione, con la minore percentuale di edilizia sociale. Siamo il Paese con la più alta percentuale di comuni e di popolazione a rischio idrogeologico e sismico. Questa è l’eredità della natura e del nostro territorio che è al centro di un piccolo Mare (il Mediterraneo) che fu il più grande Oceano mai conosciuto (il Mar di Tetide); un’eredità che ci ha lasciato bellezze incomparabili ma anche fragilità.

Ma questa fragilità è anche l’eredità di uno sviluppo industriale che, privo di materie prime, ha utilizzato il suolo come materia per creare l’accumulazione originaria del nostro capitalismo tardivo e arretrato. Per uscire dalla crisi occorre cambiare rotta e impostare davvero un Green New Deal: questa è la nostra salvezza. E davvero sorprende leggere come la leader di un partito della destra che si richiama all’Italia e che ha una sua cultura ambientalista chieda oggi che l’Europa definanzi gli investimenti per la sostenibilità!

Per tornare ad essere il Bel Paese e per fare in modo che milioni di turisti riconoscano in noi ancora e presto questo primato, occorre cambiare indirizzo. Economia circolare: un programma di infrastrutturazione impiantistica per tutto il Paese. Dissesto idrogeologico: semplificazione normativa e modernizzazione tecnologica per prevenire le emergenze. Bonifiche: semplificazione normativa e restituzione dei suoli alle comunità per un uso sostenibile a fini di riconversione energetica e infrastrutturazione verde. Politiche urbane: decarbonizzazione del trasporto pubblico locale in dieci anni e riforma urbanistica con sgravi fiscali fortissimi per interventi di demolizione e ricostruzione e efficientamento energetico. Energia e clima: ridurre le emissioni fino ad azzerarle, nel rispetto degli obiettivi fissati in Europa, favorendo con semplificazioni normative, investimenti e velocizzazioni autorizzative tutti quegli interventi finalizzati ad aumentare il contributo delle rinnovabili al fabbisogno energetico nazionale.

Questi sono gli obbiettivi che questo Governo sta definendo e che prenderanno forma nei prossimi provvedimenti già in questa fase di emergenza. Per perseguire questi obiettivi l’Italia ha bisogno di ricostruire – non c’è termine migliore – la propria capacità tecnica, ingegneristica e di progettazione. Quella che era un fiore all’occhiello delle nostre amministrazioni – nei Comuni, nelle Regioni e nei Provveditorati – si è drammaticamente indebolita ed oggi predisporre una gara, redigere un progetto o valutarlo è diventato molto arduo per gran parte delle nostre amministrazioni.

Troppe “scatole”, troppi “enti”, troppi alibi che sono esterni o paralleli alle strutture dello Stato hanno, nel tempo, sostituito – non sempre in meglio – questa precipua funzione pubblica. Siamo un paese di tradizioni straordinarie nell’architettura e nell’ingegneria civile ed occorrono molti più tecnici e molto preparati nelle nostre amministrazioni.

Infine. Il Bel Paese è anche il Paese con la Costituzione più bella del mondo. Vale a dire con un ordinamento tanto delicato quanto virtuoso di poteri e prerogative che in un Paese come il nostro è quasi d’obbligo per la democrazia stessa. Questo delicato sistema non può voler dire ipertrofia burocratica ed è quindi assolutamente necessario sfrondare orpelli e ostacoli che rendono oscuro il momento della decisione ed evanescenti molte leggi. Ma attenzione a non fare dell’emergenza l’ariete per svellere un intero ordinamento, per commissariare un intero Paese, per cancellare il momento della competenza e della responsabilità. Non abbiamo bisogno di cancellare le regole per uscire dall’emergenza e per ripartire ma di riformarle.

La folle idea di Salvini di un condono edilizio accelerato va in questa direzione. Come va in questa direzione la spinta a centralizzare responsabilità e ruoli magari sottraendoli alla trasparenza come fu nello “Sblocca Cantieri” del precedente Governo. Riformare le regole, non cancellarle!

Tra le riforme principali del nostro ordinamento, di cui dopo la fine dell’emergenza sarà bene discutere, vi è la riforma del regionalismo. Ridurre le regioni da 20 ad almeno 12 e attribuire alle tre capitali italiane come Roma, Milano e Napoli un ordinamento speciale in Costituzione che consenta loro di esplicare la grande funzione mondiale di cui sono portatrici è una esigenza vitale per la nostra democrazia e per un nuovo Stato, più europeo, federalista e moderno. Uno Stato nuovo per tornare ad essere, più di ieri, il Bel Paese.

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