29 Marzo, 2024
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Terzo incontro del Progetto di Educazione al Consumo consapevole promosso dall’ARSIAL all’Istituto Alberghiero di Ladispoli

Degli Etruschi David Herbert Lawrence amava lo slancio vitale, il calore e la raffinatezza. Jacques Heurgon, il celebre storico francese che ai Tirreni dedicò buona parte della sua carriera, ne sottolineava, invece, lo “splendido arcaismo”.
Si continua a parlare di Etruschi all’Istituto Alberghiero di Ladispoli, nell’ambito del Progetto di Educazione al Consumo consapevole “Sapere i sapori”, promosso e finanziato dall’A.R.S.I.A.L. (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio). “Questa giornata di studio è dedicata al vinum mulsum. – ha spiegato la Dirigente Scolastica Prof.ssa Vincenza La Rosa – Il vino è una bevanda ricca di storia e di cultura. Il percorso iniziato ad aprile e dedicato alla scoperta delle radici etrusche dell’enogastronomia laziale, assume oggi una connotazione tecnico-pratica. Dopo i seminari, il laboratorio. Siamo convinti che solo un’efficace sinergia fra sapere e saper fare possa coinvolgere pienamente gli studenti, favorendo la loro crescita integrale”.

“Facendo seguito alle lezioni che si sono svolte nelle scorse settimane sulla civiltà e sulle tecniche di viticoltura etrusche (in particolare, sulla vite maritata) – ha aggiunto il Prof. Michele Comito, Docente di Sala dell’Istituto Alberghiero di Ladispoli – oggi affronteremo direttamente, in laboratorio, la preparazione dell’antico vinum mulsum. E’ molto importante che gli allievi acquisiscano un’adeguata consapevolezza dell’evoluzione e della storia del gusto. Solo in questo modo sarà possibile per loro riconoscere nel presente il punto di arrivo di un lungo processo storico e culturale”.

Ad affiancare il Prof. Michele Comito, giovedì 18 maggio, c’era Catia Minghi, Sommelier e segretaria della F.I.S.A.R. (Distretto di Civitavecchia e Costa Etrusco-Romana), che ha spiegato nei dettagli le caratteristiche del mulsum. “Il vino degli antichi Etruschi era molto diverso da quello che oggi beviamo – ha sottolineato Catia Minghi – Veniva servito con acqua, in dosi prevalenti, in quanto bere il solo vino era considerata un’usanza barbara e sacrilega. Inoltre, si aggiungevano miele e resine, che avevano lo scopo di renderlo più stabile e più adatto alla conservazione e al trasporto”. Catia Minghi ha quindi spiegato le caratteristiche della antiche cantine: “I livelli erano tre: uno per la pigiatura delle uve, uno per la fermentazione e uno per la conservazione. – ha aggiunto – Per averne un’idea, basta visitare l’Enoteca Regionale dell’Umbria, scavata nel tufo e situata nei sotterranei del Palazzo del Gusto, nel quartiere medievale di Orvieto”. Catia Minghi ha quindi descritto agli studenti le caratteristiche del vitigno Sangiovese ( la cui origine è, con buona probabilità, etrusca): “Cavallo di razza dell’enologia italiana – ha spiegato Catia Minghi – il Sangiovese è uno dei vitigni italiani più diffusi (le aree coltivate coprono infatti circa l’11% della superficie viticola nazionale)”.

Ma all’Alberghiero di Ladispoli si è parlato anche della centralità del miele nel mondo antico. “La venerazione dell’ape e del miele è una costante lungo l’intero corso della storia. – hanno spiegato i relatori – Odi, canzoni e versi sono state scritti in loro onore in ogni epoca. Una delle testimonianze più antiche della sinergia tra uomo e ape risale addirittura al Neolitico e si trova in una rappresentazione rupestre rinvenuta in Spagna nei pressi di Valencia (7.000 – 5000 a.C.). Egizi, Sumeri, Assiri, Babilonesi, Celti, Greci, Romani: ognuna di queste civiltà ha sviluppato un proprio modo di costruire le arnie e di utilizzare il miele, che anche presso gli Etruschi rivestiva un ruolo di primo piano. Il motivo non è legato esclusivamente ad una sua indubbia utilità come additivo e dolcificante nelle preparazioni enogastronomiche, ma anche e soprattutto al suo valore simbolico-sacrale. Non bisogna infatti dimenticare – hanno aggiunto i relatori – che le api erano considerate tramiti fra Cielo e Terra, vere e proprie “messaggere celesti”, in grado di “trasformare il Sole in miele”. L’idromele, il fermentato più antico della storia, era ritenuto non a caso “la bevanda degli dei”. Lo stesso Cicerone ricorda la tradizione degli aruspici etruschi di trarre vaticini non solo dal volo degli uccelli, ma anche da quello delle api. Per non parlare dell’articolata e complessa gerarchia che caratterizza la straordinaria ‘società delle api’, anch’essa molto studiata nelle civiltà antiche, compresa ovviamente quella etrusca.

E il miele era, appunto, ingrediente essenziale delle tre più diffuse bevande dell’antichità: dall’idromele della tradizione celtica al Kykeion greco, passando per il vinum mulsum con la cui preparazione si sono cimentati gli studenti dell’Istituto Alberghiero, assistiti dal Prof. Michele Comito e dalla Sommelier Catia Minghi. 125 g di miele per ogni litro di vino: queste le proporzioni raccomandate. Il vino doveva essere versato in un recipiente molto largo e capiente. Columella, alcuni secoli più tardi, consigliava di scaldare il miele prima di utilizzarlo. Andava quindi aggiunto del pepe macinato (orientativamente un cucchiaio da minestra per ogni litro di vino). E giovedì 18 aprile, per il meeting-break, il mulsum è stato abbinato a bocconcini di focaccia integrale con fichi secchi e rosmarino, preparati dall’Assistente di Laboratorio Elisabetta Manuelli.

Il servizio di Ricevimento è stato curato dalla Prof.ssa Giovanna Albanese.

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